Fenomeno che comprende tutti gli eventi che si manifestano quando gruppi di persone aventi differenti culture vengono in continuo contatto, con conseguenti cambiamenti nei modelli culturali originali, sia dell'uno che dell'altro gruppo. L'acculturazione offre pertanto possibilità di "allargamento nell'ambito culturale" ma può anche favorire un assoggettamento di alcune culture, considerate deboli o minoritarie, rispetto a quelle ritenute più forti. La letteratura relativa all'interculturalità mette in evidenza la pluralità di significati che oggi il termine assume.
Dal punto di vista quantitativo, la presenza dei bambini e dei ragazzi stranieri nella scuola ha segnato negli ultimi tempi un incremento annuo significativo intorno al 15% annuo. Essi sono stati infatti. Ogni anno fanno il loro ingresso nelle classi 30/35.000 nuovi alunni di altra nazionalità, suddivisi in uguale misura fra nati in Italia e arrivati in seguito al ricongiungimento famigliare. Essi frequentano soprattutto le classi della scuola elementare (42.5%); al secondo posto, la scuola media (24.1%) e poi la scuola materna (20.1%) e superiore (12.5%). L'ottanta per cento circa dei bambini stranieri risiede in sole sei regioni e si distribuisce nel modo seguente: Lombardia (24.5%); Emilia Romagna (12.3%); Veneto (11.8%); Lazio (10,2%); Toscana (9.5%); Piemonte (9.2%). Per quanto riguarda la provenienza geografica, al primo posto vi sono ancora gli alunni marocchini, seguiti da coloro che provengono dall'Europa dell'Est (Albania, Romania, Jugoslavia) e dai Paesi asiatici (Cina, Filippine, Sri Lanka, Pakistan).
Sono inseriti nelle scuole italiane alunni stranieri appartenenti a 182 nazionalità e che parlano 78 diverse lingue e numerose varietà dialettali. (2001)
Uno studio promosso dal Ministero della Pubblica Istruzione ha formulato due ipotesi circa l'andamento futuro della popolazione scolastica con cittadinanza non italiana. Le due ipotesi sono relative agli scenari possibili prospettati dal Ministero del Tesoro che vedono, in un caso, un ingresso annuo di 50.000 immigrati totali e, nell'altro caso, un flusso di 150.000 persone ogni anno. Se si considera l'ipotesi più prudente relativa a una crescita meno consistente, per l'anno scolastico 2015/2016 si prevedono circa 300.000 alunni con cittadinanza non italiana, equivalenti al 3.83% della popolazione scolastica totale. Qualora si consideri invece l'ipotesi di crescita futura più consistente, per lo stesso anno scolastico si prevedono 500.000 alunni stranieri, che corrispondono a circa il 6.52% del totale degli alunni.
Una parte consistente degli alunni stranieri che fa il suo ingresso ogni anno nella scuola italiana è in condizione di non italofonia. Questo non significa naturalmente che essi siano tabula rasa dal punto di vista linguistico. Molti hanno sviluppato nella L1 una buona competenza sia nell'orale che nello scritto. Una parte consistente si trova inoltre nella condizione di bilinguismo dato che padroneggia la lingua materna (o il dialetto del paese d'origine) per gli usi orali e famigliari e una lingua scritta e di scolarità.
Al momento dell'accoglienza dell'alunno straniero si deve rilevare, oltre alla sua storia personale e scolastica, anche la sua biografia linguistica. Definire la biografia linguistica è il primo passo per rilevare saperi e competenze già acquisiti, mettere a fuoco i bisogni linguistici, definire una programmazione mirata ed efficace.
L'antropologia culturale è uno dei quattro campi riconosciuti dell'antropologia, lo studio olistico dell'umanità.
I concetti su cui si basa l'antropologia culturale sono in parte dovuti ad una reazione contro la passata concezione occidentale basata sull'opposizione tra natura e cultura, secondo la quale alcuni esseri umani sarebbero vissuti in un ipotetico "stato naturale". Gli antropologi si oppongono a questa visione in quanto la cultura fa in realtà parte della natura umana: ogni persona ha infatti la capacità di classificare le proprie esperienze, di codificare simbolicamente tali classificazioni e di insegnare tali astrazioni ad altri. Poiché la cultura viene appresa, le persone che vivono in luoghi differenti avranno differenti culture. Gli antropologi hanno inoltre sottolineato che attraverso la cultura le persone possono adattarsi al proprio contesto ambientale in modi non-genetici, cosicché persone che vivono in contesti ambientali diversi avranno spesso culture differenti, anzi, addirittura elementi comuni tra la culture hanno quasi sicuramente significati diversi. Molte delle teorie antropologiche si basano sulla considerazione e l'interesse per la tensione tra l'ambito locale (le culture particolari) e l'ambito globale (la natura umana universale, ovvero la rete di connessioni che unisce le persone di luoghi diversi).
L'antropologia culturale come disciplina scientifica nasce tra l'Europa e gli Stati Uniti nella seconda metà dell'Ottocento, in un momento in cui si verifica un incremento e una trasformazione nella riflessione teorica sull'uomo; viene formulato il pensiero che lo studio dell'uomo non possa essere condotto solo nella propria società, ma debba invece fondarsi sull'osservazione e l'analisi delle diverse forme di aggregazione che l'umanità assume nelle varie parti del mondo.
Con questo termine si fa riferimento al processo attivato dalla presenza egemone del monoculturalismo nazionale o di un continente che tende ad assorbire le culture compresenti in un unico modello unitario. L'assimilazione, di regola, è favorita dalla società di accoglienza, la quale si propone come società compiuta che non ha nulla da apprendere dagli immigrati portatori di altre culture. Tende, dunque, alla fusione psicologica e culturale di gruppi etnicamente diversi per dare origine ad una società omogenea ed indifferenziata al suo interno.
Nell'ambito della sociologia per azione sociale (secondo Max Weber, sociologo tedesco) si deve intendere un agire il cui scopo sia orientato verso altre persone o condiviso con altre persone. La definizione di Weber tiene conto però anche del senso che l'attore dà al suo agire. L'azione sociale, sempre secondo Weber, può nascere dalla comune accettazione di un valore (per abitudine o per tradizione), oppure da impulsi emotivi non razionali.
Il termine indica la tendenza ad integrare le biblioteche scolastiche, quelle di classe e, ovviamente, le sezioni ragazzi delle biblioteche pubbliche, con uno scaffale multiculturale comprendente anche materiale multimediale. Si prevede, dunque, l'inserimento di collezioni di libri di diverse letterature nazionali, libri di divulgazione sui paesi d'origine dei bambini immigrati ed anche storie popolari e fiabe in doppia lingua, che rappresentano delle chiavi di lettura di quelle porzioni di immaginario che i bambini stranieri portano con sé. In alcuni paesi d'Europa l'editoria si è attrezzata da tempo ed ha progettato diverse iniziative per far conoscere ai bambini ed ai ragazzi occidentali il mondo dei bambini e dei ragazzi stranieri o per offrire ai piccoli immigrati, inseriti nelle scuole, libri e storie che consentono loro di riconoscere le loro radici.
Esito costruttivo di un programma avanzato di formazione interculturale, mirato allo sviluppo dell'identìtà complessa quale caratteristica peculiare della psicologia dell'uomo moderno. Si tratta di costruire nella scuola e nella società le premesse psicologiche e non solo materiali perché tale prospettiva possa affermarsi e non esaurirsi in azioni educative rivolte soltanto alle minoranze. L'identità complessa si acquisisce attraverso un processo in continuo divenire dove, sulla base di valori comuni condivisi, continuità e discontinuità si alternano e provocano ristrutturazioni progressive della mappa mentale, aprono al mutamento cognitivo e relazionale, facilitano la sostituzione dei punti di riferimento statici ed inadeguati utilizzabili come "bussole provvisorie" per risolvere problemi pratici e contingenti. Si può parlare di biculturalismo, quando la doppia (o tripla, o quadrupla ...) identità, reciprocamente accettata rappresenta non marginalità ma arricchimento e crescita e consente al bambino o all'adulto di sviluppare una maggiore capacità di astrazione, una migliore concettualizzazione, una più ampia utilizzazione del pensiero vigente, un indice di socialità più elevato. In due (o più) riferimenti culturali, i due (o più) sistemi simbolici, linguistici e culturali sono opportunamente separati, senza interferenze, in un rapporto non competitivo e non conflittuale. Il soggetto può contare su due (o più) sistemi di comunicazione completi, su registri linguistici e culturali intercambiabili, a seconda del contesto, dell'interlocutore, della lingua usata nell'ambiente.
Per bilinguismo si intende la capacità di potersi esprimere e di pensare senza difficoltà in due lingue diverse con un livello di precisione identico in ciascuna delle due lingue. I parlanti autenticamente bilingui hanno una forte impronta di entrambe le culture. Il bilinguismo costituisce la forma più semplice di multilinguismo o plurilinguismo, che è contrapposta al monolinguismo (la capacità di parlare una sola lingua).
Il bilinguismo può designare tre diversi fenomeni quali il bilinguismo personale, il bilinguismo sociale, regionale o nazionale; ilbilinguismo interazionale (uno svedese ed un norvegese che comunicano in due idiomi).
Un'altra importante classificazione del bilinguismo è stata effettuata considerando il momento in cui la seconda lingua viene acquisita dal parlante. Si parla infatti di:
Bilinguismo ideale: quando il parlante ha una conoscenza perfetta di entrambe le lingue.
Bilinguismo precoce: quando l'idioma viene appreso prima dello studio grammaticale della seconda lingua, solitamente in età prescolare.
Bilinguismo simultaneo: quando l'acquisizione dei due idiomi avviene nello stesso momento. E' il caso di persone che vivono in famiglie dove i due idiomi coesistono e vengono usati entrambi, parallelamente.
Bilinguismo consecutivo quando si acquisisce dapprima la lingua madre e poi la seconda lingua. E' il caso di persone che emigrano in paesi in cui si parla una lingua diversa, per poi stabilirsi nel paese d'adozione.
Bilinguismo passivo: quando una delle due lingue è solo compresa, ma il parlante non ha la capacità di riprodurla. Quest'ultimo, secondo la maggior parte dei linguisti, è un particolare tipo di bilinguismo poiché i due codici non possono essere considerati allo stesso livello poiché le competenze del parlante sono diverse nei due idiomi.
Capacità da parte dell'emigrante di apprendere la seconda lingua senza dimenticare la lingua madre. Le teorie psico-linguistiche mostrano la connessione funzionale fra sviluppo cognitivo, personalità e lingua, e l'importanza della lingua madre per la formazione dei concetti. Si è verificato, infatti, che i bambini bilingui mostrino, rispetto ai monolingui, maggiore flessibilità cognitiva, più vivace pensiero divergente e più ricca creatività.
L'apprendimento della seconda lingua, da parte dell'emigrato, minaccia la sopravvivenza della lingua materna con notevoli ripercussioni anche sull'identità personale che tende a manifestarsi secondo il nuovo codice linguistico e i valori culturali che lo sostengono.
I bisogni linguistici degli alunni stranieri si diversificano sulla base dell'età al momento del loro inserimento scolastico e dipendono dalle diverse storie personali, scolastiche e linguistiche.
Al momento dell'arrivo tuttavia ciascun alunno ha la necessità di: orientarsi/riorientarsi nella nuova scuola e nel luogo di accoglienza; interagire con i pari e con gli adulti
e apprendere i contenuti del curricolo comune.
I bisogni linguistici in L2 hanno dunque a che fare con la necessità di apprendere l'italiano per comunicare e l'italiano per studiare; la lingua orale e la lingua scritta; gli usi informali e concreti e gli usi formali, astratti, decontestualizzati.
Perché si possa verificare questo tipo di calco, è necessario che il parlante della lingua replica sia capace di analizzare la motivazione strutturale e semantica del modello alloglotto. È fondamentale che il modello straniero abbia un significato descrittivo e sia strutturalmente motivato in modo che attraverso il calco strutturale sia possibile ricreare nella lingua replica la duplice motivazione del modello.
Sono così chiamati perché la struttura della parola di una lingua “di partenza” fornisce il modello, ma la lingua di arrivo utilizza materiale lessicale proprio.
Un calco strutturale può essere più o meno fedele all'originale. Per lo più si tratta di un calco strutturale “imperfetto”. Gli esempi sono sterminati; il procedimento del calco strutturale rivela consapevolezza della struttura interna della parola di origine, dunque mostra la conoscenza della lingua donatrice, ma anche della lingua di arrivo. La "trasparenza strutturale" del calco ci consente di tracciare diramazioni che vanno dal greco al latino al tedesco al polacco al lituano, dal greco al russo, e uniscono così tutte le lingue indeuropee culturalmente assai più che geneticamente, attestando la comune matrice spirituale greco- romano-cristiana.
Quello di "capitale" è un concetto economico indicante l'insieme dei mezzi umani, materiali e finanziari necessari per la produzione di beni e servizi. Anche il capitale sociale può essere inteso in questa accezione, sebbene abbia un significato più ampio, non limitato alle scienze economiche. Lo si può definire come la struttura della rete di relazioni interpersonali che è necessaria al potenziale d'azione dei componenti di una società, alla loro possibilità di perseguire dei fini individuali.
Il sociologo James Coleman ha utilizzato il concetto di capitale sociale nella sua costruzione di una teoria sociale generale imperniata sull'assunto della fondamentale razionalità degli esseri umani, ma che - proprio grazie al capitale sociale - risulta opposta alla tesi individualista tipica dell'economia classica e neoclassica.
La sua categorizzazione del capitale sociale è molto diffusa nelle opere che hanno lo stesso argomento. Basandosi sulle relazioni di "autorità", di "fiducia" e di "norma", Coleman ha definito le seguenti forme che può assumere il capitale sociale:
"Credit-slip": forma tipica dell'età precedente alla modernità economica, ma non per questo scomparsa, è caratterizzata dal controllo della rete di capitale sociale da parte del capofamiglia, e dalla possibilità, per ogni componente della famiglia, di vedere attivato tale capitale sociale per il proprio interesse (da ciò il nome: ogni componente della famiglia può "esigere" un credito).
"Canali informativi": relazioni di qualunque tipo che, all'occorrenza, vengono usate al fine di raccogliere informazioni.
"Norme e sanzioni": relazioni di tipo prescrittivo e repressivo che impediscono il dilagare della devianza e spesso anche il cambiamento.
"Relazione di autorità": attribuiscono il potere-diritto di controllare e decidere.
"Organizzazione sociale appropriabile": possibilità di utilizzare una relazione sociale per un fine diverso da quello per il quale è nata.
A queste forme, basate sull'informalità delle strutture di relazione diretta, Coleman oppone le "organizzazioni intenzionali", che vengono costruite di proposito al fine di avere altro capitale sociale - si tratta di quelle che, in sociologia dell'organizzazione, sono appunto dette organizzazioni.
Istituiti dal Ministero della P. I. insieme ai Comitati Provinciali, tramite i Provveditorati agli Studi (Ordinanza ministeriale n. 455 del 29 luglio 1997), si configurano come luoghi di lettura dei bisogni, progettazione di certificazione, di attivazione e di governo delle iniziative di istruzione e formazione in età adulta, nonché di raccolta e diffusione della documentazione. L'offerta formativa dei CTP ha riguardato principalmente due tipi di interventi: i corsi di istruzione, per il conseguimento di un titolo di studio e percorsi di alfabetizzazione funzionale per materie quali l'informatica, la lingua straniera e l'italiano per gli stranieri.
Il concetto di classe nella sociologia è centrale e di difficile definizione allo stesso tempo. Ad ogni modo la definizione più considerata è quella di Karl Marx, che intendeva per classe un insieme di individui che hanno lo stesso rapporto con i mezzi di produzione. Per Max Weber invece, la classe è connessa a tre dimensioni: la ricchezza, il prestigio ed il potere.
Questo sistema multidimensionale permette maggiore flessibilità ed efficienza nella comprensione della stratificazione sociale, anche nelle società più complesse.
Un individuo può avere un livello medio-alto di prestigio sociale e relativamente poca ricchezza. È bene precisare che, tra le tre dimensioni, la ricchezza è la più rara e preziosa. Infatti è l'unica che realmente può essere utilizzata per guadagnare punti nelle altre dimensioni.
La commutazione di codice, conosciuta anche come code switching o alternanza linguistica, è un termine linguistico che indica il passaggio da una lingua ad un'altra o da un dialetto ad una lingua e viceversa, da parte di parlanti che hanno più di una lingua in comune e che scelgono una lingua o l'altra, generalmente in base all'argomento di conversazione.
La commutazione del codice avviene sempre nell'ambito di uno stesso discorso e può riguardare solo poche frasi o addirittura una singola frase. Questo fenomeno è presente soprattutto nelle comunità o nelle famiglie bilingui. Per esempio, se i membri di una famiglia sono appena immigrati in un paese in cui si parla una lingua diversa dalla loro lingua madre, nella fase di apprendimento del nuovo codice, alterneranno continuamente le due lingue, anche per mancanza di competenze linguistiche appropriate ad ogni contesto. Ad un certo punto, con l'aumento delle abilità linguistiche la commutazione comincerà a diminuire, non essendo più indispensabile a colmare le lacune linguistiche più urgenti per la comunicazione.
Con questo termine si intende l'estensione della sovranità di una nazione su territori e popoli all'esterno dei suoi confini, spesso per facilitare il dominio economico sulle risorse, il lavoro e il mercato di questi ultimi.
Il termine indica anche l'insieme di convinzioni usate per legittimare o promuovere questo sistema, in particolare il credo che i valori etici e culturali dei colonizzatori siano superiori a quelli dei colonizzati. Inoltre, il termine designa in particolare la politica di conquista di territori d’oltremare e risorse (materiali e umane), attuata dalle potenze europee a partire dal XV secolo.
Indica altresì l'insieme dei principi a sostegno della politica di conquista e, infine, l'organizzazione del sistema di dominio.
Il DPR 31/8/99 n° 394 all'art. 45 "Iscrizione scolastica" attribuisce al collegio dei docenti numerosi compiti deliberativi e di proposta in merito all'inserimento nelle classi degli alunni stranieri. Per sostenere questi compiti è utile che nella scuola si organizzi un gruppo di lavoro o una commissione "accoglienza", che:
è composta dal dirigente scolastico e da alcuni docenti con esperienza di inserimento di alunni immigrati;
esprime indicazioni che hanno carattere consultivo, gestionale e progettuale;
si riunisce nei casi di inserimento di alunni neoarrivati, per progettare azioni di accoglienza, valutare il progetto esistente, operare un raccordo tra la scuola e il territorio;
segnala l'impegno dell'istituto in questo campo ed evidenzia l'assunzione collegiale di responsabilità.
Un continuum dialettale è una rete di dialetti in cui dialetti geograficamente adiacenti sono mutuamente comprensibili, ma la comprensibilità decresce stabilmente al crescere della distanza tra i dialetti. Un esempio ben noto è il continuum afrikaans-olandese-frigio-tedesco, un'ampia rete di dialetti con quattro standard letterari riconosciuti. Anche se l'olandese standard ed il tedesco non sono mutuamente intelligibili, una catena di dialetti li collega, senza rotture nell'intelligibilità fra due dialetti adiacenti lungo il continuum. Una rete di dialetti esiste analogamente fra le lingue slave orientali, tra le quali il russo, il bielorusso e l'ucraino che sono riconosciute come standard letterari. Anche il serbo-croato si può vedere come una rete di quattro dialetti importanti e tre lingue letterarie. Le lingue neolatine (portoghese, castigliano, catalano, provenzale, francese, occitano, corso, sardo, siciliano, romancio, friulano, altri dialetti dell'Italia, il rumeno, ed altri) formano un altro continuum ben noto.
Un settore specifico delle ONG sono le ONGdicooperazione allo sviluppo. Queste sono libere associazioni, create da privati cittadini che, per motivazioni di carattere ideale o religioso, intendono impegnarsi a titolo privato e diretto, per dare un contributo alla soluzione dei problemi del sottosviluppo, principalmente quelli del "sud del mondo".
Queste, non avendo fonti di finanziamento istituzionali, ed essendo per statuto senza finalità di lucro, in ragione della filosofia umanitaria e sociale che le anima, realizzano le loro attività grazie a finanziamenti esterni; si basano comunque anche sull'apporto di lavoro volontario, gratuito o semigratuito, offerto da membri e simpatizzanti.
I due caratteri essenziali per definire un' organizzazione non governativa di cooperazione allo sviluppo, sono quindi costituiti dal carattere privato, non governativo dell'associazione, e da quello dell' assenza di profitto nell'attività.
Caratteristica di queste organizzazioni è una forte spinta ideale, finalizzata all'obiettivo di contribuire allo sviluppo globale dei paesi socialmente ed economicamente più arretrati.
Si intende l’inserimento degli individui in un processo effettivo di ricerca della pace e di una consapevolezza che li renda partecipi di quelle trasformazioni che stanno intervenendo a livello di paradigma culturale. Gli individui non sono fatti oggetto di un intervento che mira a sviluppare in loro semplicemente questa o quella competenza; bensì vengono chiamati a collaborare a un processo di cambiamento sociale.
Per cultura in senso antropologico si intende l'insieme di regole o di principi condivisi dai membri di uno stesso gruppo, incluse le credenze, gli atteggiamenti, i valori e gli ideali che caratterizzano una determinata società.
La definizione di cultura viene data da Edward Taylor (1832-1917), antropologo britannico tra i più noti della corrente evoluzionista, nel suo famoso testo Cultura primitiva (1871): «La cultura, o civiltà, intesa nel suo ampio senso etnografico, è quell'insieme complesso che include le conoscenze, le credenze, l'arte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra capacità e abitudine acquisita dall'uomo come membro di una società».
Ovviamente all'interno delle singole società sono presenti variabilità di condotte personali, ma il comportamento sociale degli individui è in gran parte codificabile entro limiti culturalmente accettabili.
Un dialetto è una varietà linguistica o idioma usata da abitanti di una particolare area geografica. Il numero di parlanti, e l'area stessa, possono essere di dimensione arbitraria. Ne consegue che un dialetto per un'area più ampia può contenere molti sottodialetti, che a loro volta possono contenere dialetti di aree ancora minori.
Un dialetto è un sistema completo di comunicazione verbale (orale o a segni ma non necessariamente scritto) con un proprio vocabolario o grammatica.
Il concetto di dialetto può essere distinto da socioletto, una varietà linguistica parlata da un certo strato sociale, lingua standard, che è standardizzata per la pubblica prestazione (p. es. standard scritto) e gergo, caratterizzato da differenze nel vocabolario.
Varietà linguistiche quali i dialetti, gli idioletti ed i socioletti possono essere distinte non solo dal vocabolario e dalla grammatica, ma anche da differenze nella fonologia (compresa la prosodia). Se le distinzioni sono limitate alla fonologia, si parla di accento di una varietà anziché varietà o dialetto.
Un dialetto non standard ha un vocabolario, una grammatica, ed una sintassi completa, ma non è beneficiario di un supporto istituzionale. Ad esempio, l'African-American Vernacular English potrebbe essere definito un dialetto non standard della lingua inglese.
Un dialetto standard o dialetto standardizzato o "lingua standard" è un dialetto caratterizzato da un supporto istituzionale. Tale supporto può comprendere il riconoscimento o la designazione governativa; la presentazione come forma corretta della lingua nelle scuole; pubblicazione di grammatiche, dizionari e libri di testo che avanzano una forma corretta parlata e scritta; ed una letteratura formale estesa che impiega tale dialetto (prosa, poesia, testi di riferimento, ecc.). Possono esistere più d'un dialetto standard associati ad una lingua. È il caso di Standard British English, Standard American English e Standard Indian English che possono essere tutti definiti dialetti standard dell'inglese.
Lo studio dei dialetti è affidato alla dialettologia che non si limita a confrontare differenze ed affinità dei dialetti, ma ne fornisce una precisa classificazione. Inoltre, consente di definire un quadro più ampio e dettagliato su usi e costumi delle differenti popolazioni.
Un diasistema si riferisce ad una singola lingua genetica che possiede due o più forme standard. Un esempio è l'Hindi-Urdu o l'Hindustano, che abbraccia due varietà standard principali, Urdu ed Hindi.
L'oggetto preminente della didattica interculturale è rappresentato non dai contenuti (la lingua italiana, le culture o le forme mentis) bensì dalle relazioni mentali, fisiche, interpersonali, esperienziali fra individui di diversa appartenenza. L'oggetto è, dunque, ciò che (prodotto o processo) si ingenera quando si incontrano, scontrano, confrontano tali mondi (D. Demetrio). I contenuti citati costituiscono, di conseguenza, il necessario completamente, oppure, il pretesto che accende l'incontro relazionale e, in quanto insiemi informazionali o competenze da acquisire, promuovono le diverse forme di reciproca comunicazione e di reciproco arricchimento.
Ha il compito di trasmettere, attraverso tutti gli "artifici" di cui oggi la didattica può servirsi (video, ipertesti, diretta partecipazione degli alunni alle manifestazioni promosse dalle comunità straniere, ecc.), quelle conoscenze che materializzeranno, renderanno visibili e trasformeranno in esperienza vissuta ogni forma di comunicazione e di relazione tra "mondi diversi" che la scuola intende promuovere.
Termine usato per descrivere una situazione dove, in una data società, esistono due lingue strettamente apparentate, una di elevato prestigio, generalmente usata dal governo e nei testi formali, ed una di basso prestigio, solitamente la lingua vernacolare parlata. Un esempio di ciò si ha per il sanscrito, che era considerato il modo di espressione corretto nell'India settentrionale, ma accessibile solo dalla classe superiore, ed il pracrito che era la parlata comune ed informale. Così accade anche in Italia, dove molti parlano in dialetto come lingua, appunto, di dialogo, mentre usano l'italiano come lingua di alto registro.
L’educazione interculturale sul piano formativo è la risposta alle sfide poste dalle società sempre più multiculturali. In questa prospettiva si propone non solo di valorizzare le diversità culturali presenti nella società e nella scuola, ma anche di far conoscere come ogni società abbia la propria cultura, il cui ambito di significati costituisce un sistema che orienta e guida i soggetti nel rapporto con la realtà. Nella scuola si traduce in un progetto “intenzionale”, da definire attraverso l’elaborazione di curricoli formativi che integrino la comprensione dei processi culturali e propongano saperi comuni nella costruzione delle nuove identità. La sua realizzazione non è delegata al singolo insegnante, ma è tutta la scuola che deve condividere ed adoperarsi per una educazione di tutti secondo paradigmi non già definiti ma duttili, aperti, quali emergono dal reale, legati alla costruzione di nuclei di saperi, di conoscenze, di comportamenti da condividere.
È un processo multidimensionale tra soggetti portatori di culture diverse. L’interazione indica non un semplice rapporto di conoscenza, bensì una relazione di scambio e di reciprocità basata sull’idea di patto, concetto chiave della cultura democratica. Tale patto sociale è l’esito di un progetto collettivo nel quale il legame che unisce i cittadini è un vincolo di regole liberamente condivise, in una dialettica sempre aperta al confronto e all’accettazione dell’altro. La scuola è chiamata ad elaborare un progetto formativo in cui l’educazione interculturale sia assunta come matrice formativa unitaria.
Individuo che si trasferisce, generalmente per ragioni economiche ed occupazionali dal suo paese d'origine in paesi cosiddetti d'accoglienza ritenuti più ricchi ed in grado di soddisfare i bisogni legati al benessere materiale. L'emigrato non vuole cambiare la sua identità culturale, egli è "protagonista sociale" nella prospettiva interculturale ma la sua dignità di persona umana è nella realtà troppo spesso negata e ridotta a "unità produttiva" , a variabile dipendente del mercato del lavoro. Il progetto interculturale lo considera non solo uno degli elementi del cambiamento sociale, ma come "fattore di catalizzazione" del cambiamento stesso.
Movimento di popolazioni che si allontanano dai paesi poveri per esigenze occupazionali o per motivi politici per raggiungere paesi ricchi o come tali presentati dai mass media e dall'industria del benessere materiale.
Infrazione rispetto alla norma linguistica, cioè alle regole di una lingua (da distinguere dall'errore comunicativo, che nasce dall'incapacità di adeguare il messaggio al contesto). Nel caso dell'acquisizione/apprendimento di una L2 molti tipi di errore, che occorrono sistematicamente sono caratteristici di una data infrazione rispetto alla norma linguistica, cioè alle regole di una lingua.
L’esclusione sociale è un fenomeno sempre più diffuso nella società odierna e può riguardare anche soggetti che, almeno apparentemente, versano in condizioni di normalità e di benessere. Infatti, il venire meno di alcune “reti di sostegno” – sia familiari che comunitarie – può portare, in talune circostanze, a far cadere in condizioni di isolamento e di bisogno anche soggetti “forti” e ben inseriti nel contesto lavorativo e sociale.
L’esclusione sociale viene intesa come forma di deprivazione materiale e di fragilità che non riguarda esclusivamente la povertà economica e il disagio estremo, ma anche carenze rispetto ai legami familiari e sociali, ai sistemi abitativi, alla formazione o all’integrazione lavorativa e sociale. Si tratta, quindi, di un fenomeno prodotto dall’interazione di una pluralità di fattori di rischio che, limitando le capacità delle persone, ne mettono a repentaglio l'integrità e impediscono loro di raggiungere un livello adeguato di qualità della vita.
Per etnia si intende il sottoinsieme di un gruppo umano. I criteri per distinguere fra di loro le diverse etnie non sono chiariti in modo univoco, né accettati da tutti gli studiosi. Alcuni dei criteri più accettati sono la condivisione di una stessa lingua, di una stessa religione, di una stessa sede di insediamento storica. In alcuni casi il concetto di etnia si avvicina a quello di nazione (da non confondere con quello di stato).
Il termine è stato introdotto nel primo decennio del XX secolo dal sociologo e antropologo statunitense William Graham Sumner.
L’etnocentrismo, nella sua accezione più moderna e comune, è la tendenza a giudicare le altre culture ed interpretarle in base ai criteri della propria proiettando su di esse il nostro concetto di evoluzione, di progresso, di sviluppo e di benessere, basandosi su una visione critica unilaterale. Tale approccio si fonda principalmente sulla contrapposizione tra società moderne e società tradizionali dove quest’ultime difettano rispetto alle prime poiché presentano uno scenario di sottosviluppo se guidicati con gli occhi del sistema socio-economico del capitalismo occidentale (indici del reddito pro-capite, della produzione, dell’alfabetizzazione, del tasso di natalità e della mortalità, ecc.).
Nell’etnocentrismo è implicita una sopravvalutazione della società cui si appartiene; vittime dell'etnocentrismo sono stati anche studiosi, quali etnologi e antropologi, che, soprattutto negli ultimi tempi, hanno fatto delle popolazioni “primitive” un fertile oggetto di ricerca e di studio. In certo senso, dunque, l’etnocentrismo attribuisce al progresso e allo sviluppo un valore irrinunciabile e necessario a cui nessuna società può sottrarsi e il mutamento economico conseguente viene visto come un fenomeno inevitabile e spesso indolore. A seguito di questa eccessiva fiducia
nei propri modelli evolutivi sminuendo la validità di quelli altrui, sono state compiute, nei secoli e nella storia azioni di intolleranza eticamente inaccettabili.
Il problema dell’etnocentrismo non riguarda solo avvenimenti accaduti in passato, ma investe anche fenomeni attuali, come l’integrazione tra i popoli e la globalizzazione delle culture nell’odierna società occidentale, con episodi spesso drammatici di conflitto sociale. Va oltre al resto ricordato che l’etnocentrismo è un fenomeno intrinseco di ogni comunità umana e di qualunque cultura e per tanto quando è socialmente controllato non può che contribuire alla coesione sociale del gruppo e ne assicura il mantenimento della sua identità sociale.
Oggi il criterio discriminante è più spesso la cultura (stili di vita, credenze, adizioni, storia, etc.): si dovrebbe perciò preferire l'espressione culturocentrismo. Il principio etnocentrico non viene più dichiarato nei documenti ufficiali (come quelli di Hitler e di Perón) ma viene praticato attraverso l'esportazione dei modelli economici e dei valori culturali dell'Occidente progredito nel Terzo
Mondo involuto. Un'attualizzazione dell'etnocentrismo è il pregiudizio eurocentrico o, se ci si vuole riferire ai modelli di consumo, l'americanismo.
Paradossalmente l'etnocentrismo può coesistere con l'accresciuto interesse delle persone giovani e scolarizzate verso i popoli degli altri continenti, probabile atteggiamento di risposta alla crescente omologazione a uno stile di vita "occidentale". Degli altri popoli si sa di più e si può vedere di più (viaggi, TV, libri); questi movimenti volontari verso le altre culture, non portano ad una eliminazione automatica dei pregiudizi razziali, dei campanilismi e degli atteggiamenti etnocentrici.
La etnografia è il metodo con cui opera l'etnologia e uno dei metodi di ricerca dell'antropologia culturale.
Secondo la classificazione di Marcel Griaule l'etnografia registra le informazioni sui diversi popoli, mentre l'etnologia costituisce da queste descrizioni dei sistemi coerenti.
Fare etnografia significa recarsi tra coloro che si vuole studiare per un certo periodo di tempo, ed utilizzare alcune tecniche di ricerca (come l'osservazione o l'intervista) allo scopo di collezionare un insieme di dati che una volta interpretati, rendano possibile la comprensione della cultura in esame. Riti, rituali, cerimonie, norme, valori, credenze, comportamenti, artefatti, sono i principali fenomeni di interesse dell'etnografo, attraverso i quali la cultura si rende intelligibile.
L'etnografia nasce come metodo dell'antropologia culturale sul finire del XIX secolo, quando le grandi potenze imperialiste si imbattono i culture "altre" da quella occidentale, e i primi lavori etnografici si caratterizzano per un forte stile "realista", tipico dello strutturalismo e funzionalismo imperante nell'antropologia dell'epoca.
Il significato del termine evolve parimenti al quello di cultura: verso gli anni sessanta e settanta del novecento, autori come C. Geertz, in linea con l'epistemologia costruttivista di P. Berger e T. Luckmann, contribuiscono a delineare il carattere riflessivo dell'etnografia postmoderna, considerata non più un metodo volto a scoprire realtà oggettive, bensì come prodotto contenente conoscenza situata.
L'etno-linguistica o antropologia del linguaggio è, secondo Hymes, "lo studio del parlare e della lingua nel contesto antropologico". Anche se è sorta dalla fusione delle tematiche di linguistica ed antropologia, negli ultimi decenni ha assunto una sua identità individuale.
L'etnolinguistica è frequentemente associata ai gruppi di minoranza linguistica all'interno di una popolazione più estesa, come le lingue degli emigranti. In questi casi l'etno-linguistica studia l´uso di una lingua minoritaria all´interno di un contesto linguistico dominante, per esempio se il gruppo etnico riceve un sostegno statale per mantenere attiva quella lingua.
Più in generale, l´etno-linguistica studia le relazioni tra lingua e cultura, e il modo in cui diversi gruppi etnici concepiscono il mondo. Un soggetto etno-linguistico ben noto (ma contestato) è la teoria di Whorf-Sapir, che sostiene che la concezione del mondo è limitata da ciò che è possibile descrivere nelle propria lingua.
Gli etno-linguisti studiano il modo in cui la percezione e la concettualizzazione influenzano la lingua, e dimostrano come questo sia collegato con diverse culture e società.
L'etnologia è la disciplina che si occupa di studiare e confrontare le popolazioni attualmente esistenti nel mondo ed è strettamente legata all'antropologia e in particolare all'antropologia culturale. Si basa sul metodo dell'etnografia.
L'etnologia compie ricerche sistematiche e tenta di stabilire relazioni comparative tra le caratteristiche dei diversi popoli umani sotto diversi aspetti, quali le diversità culturali in relazione alle diversità ambientali; rapporti e reciproche influenze tra le diverse popolazioni; sistemi di sussistenza e sistemi economici; religione e espressioni simboliche del trascendente; organizzazioni familiari, sistemi sociali e politici.
L'etnometodologia è una scuola sociologica in dissenso con la tradizione ufficiale. Il suo fondatore è Harold Garfinkel, infatti la pubblicazione nel 1967 dei suoi Studi etnometodologici è considerata l'atto fondante di questa nuova scuola.
Il nome sta ad indicare l'insieme dei metodi di cui i membri di un gruppo etnico si servono per comprendere la loro stessa attività e Garfinkel lo ha coniato per assonanza con il termine etnobotanica, usato dai botanici per indicare l'insieme dei metodi che un gruppo etnico utilizza per comprendere la botanica.
Per eleborare i principi su cui si basa la scuola etnometodologica, Garfinkel ha preso ispirazione dalle teorie di Edmund Husserl, di Alfred Schutz, da alcuni presupposti del funzionalismo di Talcott Parsons e dalle teorie dell'interazionismo simbolico.
L'etnometodologia si fonda principalmente su due concetti che hanno ripercussioni importanti sul modo di intendere l'agire sociale: l'indicalità e la riflessività.
Secondo il concetto di indicalità, nessuna affermazione può avere un significato indipendente dal suo contesto. Il senso di ogni affermazione e, quindi, anche di ogni spiegazione, contiene qualcosa in più rispetto al significato letterale perché la sua comprensione avrà modalità diverse in contesti diversi.
Il concetto di riflessività si rifà all'idea che un'affermazione è riferibile solo a se stessa e non fa riferimento a nessuna realtà diversa da se stessa, vale a dire che non esiste una realtà oggettiva e modi di osservarla per descriverla, ma che ogni osservazione costituisce la realtà stessa.
Secondo i presupposti dell'indicalità e della riflessività, i membri di un gruppo etnico mentre agiscono danno senso a quello che fanno, cioè lo spiegano; il senso del loro agire è l'azione stessa.
È una delle varianti dell'etnocentrismo. L'eurocentrismo non è semplicemente il senso dell'unicità culturale e morale della civiltà dell'Europa, diversa dalle altre parti del pianeta per i suoi modi di pensare e di sentire, per i suoi sistemi filosofici e politici, per le sue tecnologie: sta piuttosto nell'interpretare questa diversità come superiorità, ignorando i valori specifici delle altre civiltà.
Nell'Europa Occidentale e nel suo modo di vita sta il culmine del processo storico evolutivo dell'umanità; di conseguenza, l'Occidente costituisce anche il modello normativo fondamentale, rispetto al quale ogni altra cultura è da considerarsi solo una pre-cultura o uno stadio di avvicinamento al modello occidentale.
Per capire il sorgere di questo etnocentrismo europeo bisogna tener presente gli ultimi cinque secoli di storia, nei quali l'Europa è stato un centro dinamico ed aggressivo lanciato alla scoperta e alla conquista delle altre civiltà. E in particolare gli ultimi due secoli, nei quali l'Europa con le sue
tecnologie, le sue ideologie e i suoi valori ha voluto portare alla modernità l'intero pianeta.
Il pregiudizioeurocentrico si esprime anche nei comportamenti quotidiani. L'atteggiamento eurocentrico è una barriera culturale che impedisce di capire e valorizzare gli altri. Accettiamo gli immigrati nella misura in cui fanno propri la nostra lingua, il nostro modo di pensare, i nostri comportamenti e valori, i nostri atteggiamenti di consumo – ossia nella misura in cui riconoscono la nostra superiorità e decidono di farsi simili a noi.
In didattica, per facilitazione si intende il processo per cui l'insegnante, attraverso strategie di mediazione, rende più comprensibile per lo studente un concetto, un testo, un compito. Tra le strategie facilitanti, ricordiamo la contestualizzazione di un concetto, di una struttura sintattica, di uno o più elementi lessicali; la presentazione attraverso più canali e più codici; l'uso della ridondanza (ad esempio l'introduzione di un concetto attraverso un'asserzione e un'esemplificazione, o due asserzioni di cui una è la parafrasi dell'altra).
È una richiesta ed un'offerta emergente, esito positivo dell'incontro fra accoglienza (intesa non solo come strategia ma come disposizione della cultura autoctona a confrontarsi con l'alterità in termini dialettici) e stabilizzazione (decisione di rimanere per ricomporre un nuovo progetto di vita e ricostruire un vissuto personale bipsicologico, bilinguistico, bietnico). L'emigrato cerca la sicurezza che i contenuti della formazione possono fornirgli (dalla prima alfabetizzazione alla formazione professionale, civile e sociale) ma vuole anche imparare a vivere nell'insicurezza, nell'ambiguità della sua condizione; la formazione, nei suoi significati più profondi, diventa "il canale al contempo indispensabile all'apprendimento dell'incertezza e della sicurezza". E' su questa base che è possibile accedere al biculturalismo: "appartenere a due culture tra loro in ibridazione diventa più arricchente della partecipazione o della perseveranza, caparbia e irrazionale in una sola".
Processo che porta alla cristallizzazione di un errore linguistico. Si verifica quando, in una certa fase dell'acquisizione e/o dell'apprendimento di una lingua, il parlante non sente più la necessità di migliorare le proprie prestazioni linguistiche e non riceve dall'esterno (per es. dagli insegnanti o dal contesto sociale) validi e ricchi input linguistico-comunicativi che lo spingano in tal senso. Quando la regola in via di fossilizzazione si blocca nonostante che il tempo passi e che altre parti del sistema si siano evolute, si parla di cristallizzazione della regola. La regola è completamente bloccata.
Col termine globalizzazione si indica il fenomeno di crescita progressiva delle relazioni e degli scambi di diverso tipo a livello mondiale in diversi ambiti osservato a partire dalla fine del XX secolo.
Il termine "globalizzazione" è utilizzato anche in ambito culturale ed indica genericamente il fatto che nell'epoca contemporanea ci si trova spesso a rapportarsi con le altre culture, sia a livello individuale a causa di migrazioni stabili, sia a livello nazionale nei rapporti tra gli stati. Spesso ci si riferisce anche all'elevata e crescente mobilità delle persone con una permanenza limitata temporaneamente (turisti, uomini di affari, ecc..).
Nell'immaginario collettivo la "globalizzazione" è spesso percepita come un fenomeno progressivo, che si è andato sviluppando linearmente nel tempo in modo naturale, e che vede la condizione attuale nei suddetti ambiti come una fase intermedia tra il generico passato ed il futuro.
Carta di identità linguistica molto analitica che tiene conto di tutti i tipi di linguaggio del bambino, da quello mimico-gestuale a quello verbale (S. Gensini e M. Vedovelli). Le osservazioni compiute dal docente in itinere durante le attività di piccolo gruppo avranno lo scopo di identificare le abilità comunicative dell’allievo non italofono lungo un ampio repertorio di comportamenti ed interazioni. Tali abilità possono essere suddivise in due categorie di base, abilità comunicative ricettive e abilità comunicative produttive. Al primo gruppo sono riferibili tutte le osservazioni condotte sui comportamenti ricettivi dell’alunno non italofono, in termini verbali, gestuali, fattuali, nel corso delle interazioni che lo coinvolgono. Al secondo gruppo si riferiscono le informazioni relative alle sue modalità di approccio comunicativo, alle sue risorse lessicali, alle sue strategie di semplificazione e generalizzazione delle regole della lingua, ai suoi errori e all’analisi della tipologia di questi.
L’identità è un percorso di crescita processuale e dinamico. Esso parte dalla scoperta del sé fino a giungere alla conquista di dimensioni comuni ad altri individui e all’elaborazione di livelli di compatibilità tra la propria cultura di riferimento e quella degli altri. Ciò comporta il muoversi in una dimensione di comunicazione, di convivenza e di accettazione, su un terreno di negoziazioni di percezioni di realtà colte nella loro diversità, vissuta come ricchezza e risorsa. Pertanto l’incontro con l’altro è frutto di comunicazione, trasmissione di conoscenza, effetto di esperienza, risultato di riconoscimento, ma è anche riscoperta di sé e della propria identità culturale.
In sociologia, antropologia e nelle altre scienze sociali il concetto di identità riguarda il modo in cui l'individuo considera se stesso come membro di determinati gruppi: nazione, classe sociale, cultura, etnia, genere, professione, e così via. In questo senso scienziati sociali e storici parlano di identità nazionale per gli abitanti di un particolare paese e le femministe parlano di identità di genere.
Molte persone sono orgogliose del gruppo in cui si identificano, che fornisce loro un senso di appartenenza ad una comunità. Tutti noi rivestiamo più ruoli, di conseguenza abbiamo un'identità multipla.
È opportuno chiarire che l'identità è contestuale, cioè essa può variare in base al contesto ed a seconda del ruolo che si intenda assumere in tale contesto. Ad esempio quando attraversiamo la dogana, ciò che conta è l'identità nazionale e non quella religiosa o professionale.
Proprio per questa molteplicità, affinché possa essere compreso il concetto di identità è necessario assumere che vi sia un elemento di riferimento: l'alterità.
È quella trama di orientamenti, atteggiamenti, sentimenti, convinzioni, modi di pensare, sentire ed agire e quel tessuto di valori che costituiscono la realtà sociale a cui un soggetto sente di appartenere: quel sistema culturale a cui un soggetto fa riferimento.
L'identità è da considerarsi come l'insieme dei significati che ogni individuo dà alle diverse esperienze della vita secondo un suo particolare modo di sentire e di essere, il continuo ristrutturarsi della sua esperienza personale nell'ambito di un sociale determinato (con propri valori e istituzioni, di cui il soggetto deve tener conto) e appreso durante il processo di socializzazione. L'identità è quindi il deposito delle esperienze fino ad allora vissute, il quadro di riferimento per quelle future, il luogo della significazione simbolica dei rapporti con gli altri e con il sociale. Pertanto, può essere disegnata come la sede dove si verificano gli scambi tra soggettività ed extrasoggettività, tra forze intrinseche ed acquisizioni culturali. E' una struttura singolarmente connotata grazie alla quale la persona si sviluppa, si arricchisce in modo sempre nuovo, particolare, creativo, pur conservandosi sempre se stessa, come io tipico e per ciò non identificandosi con nient'altro. In altri termini, pur dovendo registrare, nelle varie fasi evolutive, cambiamenti in fatto di identità personale, è possibile rilevare un persistere di tratti stabili: fisici, psicologici, sociali, morali, culturali e giuridici, i quali vengono a rappresentare la caratteristica di fondo dell'identità e permettono alla persona di riconoscersi sempre, di mantenere la propria tipicità nel passato dall'una all'altra età, nonostante la molteplicità delle trasformazioni cui va incontro, e di conservare la soggettiva unità e continuità nel cambiamento. Risulta però opportuno richiamare, accanto al concetto di identità personale, quello di identità culturale, immaginandoli come due estremi teorici di un continuum lungo il quale l'essere umano, con la sua dotazione evolutiva, nel suo ambiente, nella sua storia, "sente" la personale identità. Ogni essere umano, infatti, sente il bisogno di identificarsi in un "noi" per capire chi egli sia. Non si sa chi si è senza un sistema di riferimenti in parte simbolici e rituali che danno orizzonte al vivere, domesticità e senso al proprio essere nel mondo. Quel sistema di riferimenti è fornito al soggetto essenzialmente dalla cultura del gruppo di appartenenza, assimilata attraverso processi di inculturazione e di socializzazione, che gli permette di conferire significato alla realtà in cui vive e di sapersi orientare in essa.
L'oppressione culturale di una maggioranza compatta implica il deterioramento dell'intelligenza e dell'autonomia dei membri delle subculture mantenuti in stato di interiorizzazione e di sfruttamento reale. Inoltre, secondo Erikson, la rinuncia dell'identità culturale, da parte di coloro che appartengono a minoranze etniche, determina grossi problemi, anche di salute. Generando una destrutturazione della personalità, infatti, il soggetto perde la stima in se stesso, l'iniziativa, l'autonomia e i poteri critici, smarrisce la propria capacità di orientamento, non sa più ciò che è giusto e ciò che non lo è. Pertanto, è costretto ad adeguarsi agli altri nei criteri di giudizio e nei comportamenti, risultando così subalternizzato.
La ricerca linguistica ha cercato di definire il ruolo dell'input, inteso come il tipo di lingua a cui l'apprendente è esposto e a partire dal quale costruisce la sua competenza in L2. Nella pratica didattica è utile tenere presente alcune considerazioni sulle caratteristiche che l'input deve avere per essere interiorizzato, acquisito (intake).
L'input in L2 dovrebbe essere:
comprensibile, sulla base della lingua già acquisita e non quindi troppo al di sopra del livello attuale;
rilevante e coinvolgente dal punto di vista dei contenuti e della relazione comunicativa;
in quantità sufficiente e non quindi sporadico e occasionale, ma accessibile e ripetuto, talvolta ridondante.
Nella sua specificità indica il processo con il quale l'individuo o il gruppo minoritario si coinvolgono nella realtà culturale e sociale del paese di accoglienza senza perdere o ricusare le caratteristiche della cultura di origine. Già C. Lévi Strauss, nel 1947, interpretava l'integrazione come il risultato dello scambio tra soggetti di beni economici e culturali di ogni tipo in cui la "diversità" rappresenta un incentivo a tali rapporti. Dunque, il processo di integrazione prevede il superamento delle conflittualità etniche attraverso la consapevolezza del potenziale umano e creativo presente nelle diversità culturali e la sua utilizzazione per stabilire connessioni culturali profonde e rapporti interpersonali pregnanti fra culture diverse.
È un processo di non discriminazione e di inclusione delle differenze, quindi di contaminazione e di sperimentazione di nuove forme di rapporti e comportamenti, nel costante e quotidiano tentativo di tenere insieme principi universali e particolarismi. Essa dovrebbe quindi prevenire situazioni di emarginazione, frammentazione, ghettizzazione, che minacciano l’equilibrio e la coesione sociale, e affermare principi universali quali il valore della vita umana, della dignità della persona, il riconoscimento della libertà femminile, la valorizzazione e la tutela dell’infanzia, sui quali non si possono concedere deroghe, neppure in nome del valore della differenza (art. 3 della legge 40/98).
È la prospettiva attiva di una realtà che vuole gestire i rapporti con le nuove culture in termini di impegno reciproco, di relazioni interdipendenti, di messa in gioco bilaterale, in una dimensione di reciprocità intesa come l’assunzione contemporanea e paritaria della dignità di due punti di vista e, quindi, delle prospettive interagenti in una riaffermazione della propria singolare identità culturale.
Categoria d'analisi non descrittiva ma progettuale, politica e pedagogica. E' concezione dinamica delle culture che si aprono in reciprocità imparando l'una dall'altra, facilitando e utilizzando scambievolmente l'evolversi delle rispettive differenze. E' dunque interazione dinamica, convivenza tra partners, scambio creativo e selettivo fra culture che si incontrano e si scontrano senza perdere la loro identità.
Un approccio educativo interdisciplinare offre di per sé un contributo fondante alla formazione di una mentalità aperta e all'elaborazione di strategie educative interculturali. L'elaborazione di progetti interdisciplinari consente un ampliamento di prospettive e una convalida del discorso interculturale con un approccio a più voci, coinvolgente per gli alunni. La presentazione di altre culture in un'ottica interdisciplinare, che investa le espressioni letterarie, artistiche e musicali, gli elementi storici e geografici e gli aspetti della tecnica e del lavoro risulta assai significativa. Ad esempio, l'insegnamento della storia deve riconoscere gli apporti e i valori autonomi delle diverse culture e liberarsi da rigide impostazioni a carattere etnocentrico o eurocentrico, per un'analisi obiettiva dei momenti di incontro e di scontro tra popoli e civiltà.
L'interferenza linguistica o interferenza L1, trasferimento o interferenzatranslinguistica è l'effetto della lingua madre sulla produzione di una seconda lingua. L'effetto può riguardare qualsiasi aspetto della lingua: grammatica, lessico, fonologia, ortografia, ecc. Il più delle volte è discussa come fonte di errori (trasferimento negativo), sebbene quando la caratteristica rilevante delle due lingue è la stessa, ne deriva una produzione linguistica corretta (trasferimento positivo). Maggiori saranno le differenze tra le due lingue, più negativi saranno gli effetti dell'interferenza.
L'interferenza può essere conscia o inconscia. Consciamente, il parlante può ipotizzare poiché non ha appreso o ha dimenticato l'uso corretto. Inconsciamente, il parlante può non considerare che le caratteristiche delle lingue possono differire, o può conoscere le regole corrette senza saperle mettere in pratica, e quindi ripiegare sull'esempio della propria lingua madre.
L'interferenza può anche aver luogo tra lingue acquisite; un inglese che apprende francese e spagnolo, ad esempio, può erroneamente assumere che una particolare caratteristica di una lingua si applica anche all'altra.
Un aspetto interessante è che l'interferenza linguistica nelle comunità immigranti può sfuggire da quelle comunità ed influenzare la popolazione dei parlanti nativi.
Stato intermedio tra la lingua materna ed una seconda lingua caratterizzata dall'essere instabile.
Durante il processo di apprendimento della L2 l'apprendente attraversa differenti stadi di competenza linguistica che via via si avvicinano alla lingua/obiettivo. Queste fasi che segnano il percorso di acquisizione danno origine a sistemi dinamici che sono definiti interlingue.
L'interlingua è dunque una forma ridotta della lingua standard, sia in senso qualitativo che quantitativo e si colloca all'interno di un continuum che sta tra la L1 e la L2. Indipendentemente dalla L1 dell'apprendente si notano sequenze di apprendimento costanti e ricorrenti. Ciò che varia è la velocità nei passaggi tra i vari stadi di interlingua, più che le caratteristiche degli stessi.
Dall’etnocentrismo conseguono comportamenti patologici quali l'intolleranza. Ciò si verifica quando vi è un eccessivo rifiuto verso gli altri fino a sfociare in una vera e propria intolleranza o in forme mentali complesse dirette o indirette in genere dannose per chi non faccia parte del “noi”. Quando l’etnocentrismo si traduce nella sua forma mentale, sociale e culturale più esasperata diviene razzismo, tendenzialmente orientato non solo al rifiuto ma alla distruzione dell’altro.
La legge 482/99 recante Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche prende atto della esistenza anche di altre minoranze linguistiche. Con l'art. 2 della citata legge "la Repubblica tutela la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il francoprovenzale, il friulano, il ladino, l'occitano e il sardo.
La legge contiene norme specifiche per l'insegnamento delle lingue minoritarie nelle scuole delle 12 comunità linguistiche riconosciute. Le istituzioni scolastiche dovranno assicurare l'insegnamento delle lingue di minoranze e riconosce il diritto degli appartenenti a tali minoranze ad apprendere la propria lingua materna. La scuola assume quindi una rilevante importanza nel valorizzare il ricco mosaico di lingue e offre opportunità formative, quale scuola di qualità, all'insegna della innovazione didattica.
In particolare gli artt. 4 e 5 della Legge 482 prevedono in sostanza due livelli di intervento: a livello delle singole istituzioni scolastiche ed a livello del Ministero della Pubblica Istruzione.
Tali disposizioni vanno integrate con quanto previsto dalla legge delega n. 53/2003 che configura il nuovo Sistema educativo nazionale e in previsione dell'attuazione a partire dall'anno scolastico 2003/2004 della riforma del sistema scolastico.
L'educazione linguistica si attua nei territori delimitati e definiti secondo i criteri stabiliti dalla legge stessa, nei quali le istituzioni scolastiche competenti sono tenute ad offrire all'utenza alcuni servizi atti a garantire l'apprendimento delle lingue ammesse a tutela.
Nella scuola materna è previsto l'uso della lingua della minoranza per lo svolgimento dell'attività educativa; nella scuola dell'obbligo è previsto l'uso della lingua come strumento dell'insegnamento e l'insegnamento della lingua e delle tradizioni culturali; inoltre è prevista la realizzazione dell'offerta formativa anche a favore degli adulti.
La libertà di parola è considerata un concetto basilare nelle moderne democrazie liberali, dove la censura non trova l'appoggio morale per operare. La libertà di parola gode dell'appoggio delle diverse risoluzioni internazionali a favore dei diritti umani, come l'articolo 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo e l'articolo 10 della Convenzione Europea sui Diritti Umani, per quanto la loro effettiva applicazione rimanga scarsa in molti Paesi.
In particolare, l'articolo 19 della Dichiarazione recita:
“Chiunque ha il diritto alla libertà d'opinione e d'espressione; il che implica il diritto di non essere turbato a causa delle sue opinioni e quello di cercare, ricevere e diffondere, senza considerazione di frontiere, le informazioni e le idee attraverso qualunque mezzo di comunicazione.”
Il diritto alla libertà di parola non è tuttavia da considerarsi illimitato: i governi possono, sotto l'egida delle Nazioni Unite e dei
paesi che vi prendono parte, decidere di limitare particolari forme di espressione, come per esempio l'incitamento all'odio razziale, nazionale o religioso, oppure l'appello alla violenza contro un individuo o una comunità, che anche nel diritto italiano costituiscono reato.
Secondo il diritto internazionale, le restrizioni alla libertà di parola devono seguire tre condizioni: devono essere specificate dalla legge, devono perseguire un fine riconosciuto come legittimo, ed essere necessarie (ovvero proporzionate) al raggiungimento di quello scopo. Tra gli scopi riconosciuti come legittimi, troviamo appunto la protezione dei diritti e dell'integrità morale altrui (allo scopo di prevenire la diffamazione), la protezione della sicurezza nazionale, dell'ordine pubblico, della salute e del senso comune.
Una lingua creola è una lingua ben definita che ha avuto origine dalla combinazione non banale di due o più lingue, tipicamente con molti tratti distintivi che non sono stati ereditati da nessuna delle lingue di partenza. Tutte le lingue creole si sono evolute da un pidgin, di solito da quelli divenuti la lingua madre di qualche comunità. In particolar modo vengono così definite quelle lingue miste, ad esempio, composte da africano e inglese o francese.Esempi di lingue creole sono il giamaicano e il papiamento.
Una lingua è in pericolo o in via di estinzione quando sopravvivono così pochi parlanti che corre il rischio di non essere più utilizzata. Anche se non esiste una soglia definita per identificare una lingua in via di estinzione, tre criteri principali sono usati come linee guida: il numero di parlanti attualmente in vita, l'età media dei parlanti nativi e/o fluenti e la percentuale della generazione più giovane che acquisisce fluidità con la lingua in questione.
E' il codice articolato che un bambino impara ad usare per primo, nell'ambiente familiare. Essa può coincidere con la lingua nazionale, ma anche con un dialetto oppure con una lingua "minoritaria". Ciò significa che per una percentuale non trascurabile della popolazione italiana, l'italiano non è la prima lingua o lingua madre, ma una seconda lingua che deve essere appresa.
Non esistono criteri universalmente accettati per discriminare le "lingue" dai "dialetti", anche se esistono alcuni paradigmi, che danno risultati talvolta contraddittori. La distinzione esatta è pertanto soggettiva e dipende dal proprio sistema di riferimento. Tuttavia la celebre frase del linguista yiddish Max Weinreich può essere un primo passo per distinguere questi termini: "una lingua è un dialetto con un esercito ed una marina".
I linguisti antropologici definiscono il dialetto come la forma specifica di una lingua usata da una comunità di parlanti. In altre parole, la differenza tra lingua e dialetto è quella tra l'astratto o il generale ed il concreto o il particolare. Da tale prospettiva, nessuno parla una "lingua", tutti parlano un dialetto di una lingua. L'identificazione di un particolare dialetto come versione "standard" o "corretta" costituisce in effetti una distinzione sociale. Spesso la lingua standard si avvicina al socioletto della classe di elite.
In gruppi dove gli standard di prestigio hanno ruoli meno importanti, il termine dialetto potrebbe essere usato semplicemente per riferirsi a sottili variazioni regionali nella prassi linguistica che sono considerate mutuamente intelligibili e che giocano un ruolo importante per localizzare gli estranei, trasportando il messaggio della provenienza geografica di un estraneo (quale distretto o quartiere in un paese, quale villaggio in un contesto rurale, o quale provincia di una nazione); pertanto, ad esempio, ci sono molti "dialetti" evidenti della lingua Slavey, una lingua indigena del Nord-America di ampia diffusione geografica, vale a dire, molte sottili variazioni tra parlanti che per lo più si capiscono e riconoscono di "parlare allo stesso modo" (ovvero, di "parlare la stessa lingua") in un senso generale.
La linguistica moderna sa che lo status sociale di "lingua" non è unicamente determinato da criteri linguistici, ma è anche il risultato di uno sviluppo storico e politico. Il romancio diventò una lingua scritta, e pertanto è riconosciuto come lingua, anche se è molto vicino ai dialetti alpini lombardi. Un caso opposto è quello del cinese, le cui variazioni sono spesso considerate dialetti e non lingue nonostante la loro mutua incomprensibilità, poiché condividono uno standard letterario ed un corpus di letteratura comune.
La definizione consueta di lingua regionale o minoritaria è quella utilizzata nella Carta europea per le lingue regionali e minoritarie, un trattato internazionale stilato sotto gli auspici del Consiglio d'Europa e adottato da numerosi Stati membri dell'UE:
Lingue regionali sono lingue: “tradizionalmente usate entro un dato territorio di uno Stato da nazionali di quello Stato che formano un gruppo numericamente inferiore al resto della popolazione dello Stato; e differenti dalla/e lingua/e ufficiale/i di tale Stato”.
Su iniziativa del Parlamento europeo, che ha adottato una serie di risoluzioni in materia, l'Unione europea è passata all'azione per salvaguardare e promuovere le lingue regionali e minoritarie d'Europa che sono attualmente tutelate e protette e sono uno degli elementi costitutivi dell'Unione europea, tanto che tale principio è ora sancito dall'articolo 22 della Carta europea dei diritti fondamentali, secondo il quale "L'Unione rispetta la diversità culturale, religiosa e linguistica".
Il lunfardo è un insieme alternativo di vocaboli spagnoli, utilizzato quasi esclusivamente nel tango argentino. Nel libro "Aproximación al lunfardo" (Avvicinamento al lunfardo), José Gobello chiarisce che il lunfardo non è né una lingua, né un dialetto, né un gergo: secondo la sua definizione, il lunfardo è un insieme di vocaboli composti di voci di varia origine che i alcuni bonairegni utilizzano al posto dell'idioma generale.
Condizione che si verifica quando i soggetti immigrati, sia singoli che in gruppi, mostrano disinteresse a mantenere viva la cultura originaria e nel contempo, rifiutano di stabilire rapporti con i membri della più grande società.
Educatore, insegnante o animatore che ha il compito di "mediare" culturalmente le "diversità", superando la conflittualità e sviluppando il potenziale energetico di ciascuno. Di regola appartiene alla minoranza etnica e culturale dell'immigrato e partecipa in maniera sistematica al progetto educativo che prevede l'insegnamento della o nella lingua d'origine. In altri casi ha compiti di traduzione, di sostegno psicologico, di facilitazione dell'inserimento degli alunni e degli adulti stranieri nel nuovo ambiente.
Sul piano delle pratiche sociali ed educative in ambito multiculturale, la mediazione si traduce in un procedimento di “negoziazione”, cioè nella ricerca comune - attraverso il dialogo e lo scambio - di un minimo di accordi, di un compromesso, in cui ciascuno dei soggetti impegnati nella mediazione si vede rispettato nella sua identità, nei suoi valori di base pur avvicinandosi all’altro. Si tratta di un avvicinamento reciproco per arrivare ad un compromesso accettabile da tutti, che permetta di evitare l’imposizione cieca di una regola su di un’altra in modo da evitare l’esclusione sociale e la marginalizzazione del “migrante”, o di alterare la specificità delle tradizioni nazionali.
Nella prospettiva di una educazione interculturale si segnalano anche significati diversi: il primo significato corrisponde all’azione di intermediario, in situazioni dove non c’è conflitto, bensì difficoltà di comunicazione. Il tipo di mediazione che si svolge in questi casi consiste nel facilitare la comunicazione e la comprensione tra le persone di cultura diverse, nel dissipare i malintesi tra scuola e famiglia dovuti in gran parte a un diverso sistema di codici e valori culturali; il secondo significato fa riferimento all’area della risoluzione dei conflitti di valore tra la famiglia immigrata e la scuola o all’interno della stessa famiglia (conflitti generazionali, di coppia, ecc.); il terzo significato implica l’idea di trasformazione, di costruzione di nuove norme basate su azioni agite in collaborazione tra le parti in causa; si configura come processo dinamico che coinvolge società, famiglia, insegnanti, alunni.
“Il nostro linguaggio può essere considerato come una vecchia città: Un dedalo di stradine e di piazze, di case vecchie e nuove, e di case con parti aggiunte in tempi diversi; e il tutto circondato da una rete di nuovi sobborghi con strade dritte e regolari, e case uniformi."
Questo termine sostituisce quelli di emigrato / immigrato e indica il soggetto che, per motivi vari (economici, politici, culturali, religiosi, sociali), lascia temporaneamente o definitivamente il proprio paese, scegliendone un altro in cui può costruirsi un'altra esistenza.
L'uso del termine precisa il carattere di mobilità errante spinta da fatalità o necessità; implica l'illusione del rientro e la pratica del pendolarismo in quanto non sempre la migrazione non poggia su un progetto migratorio articolato e coerente.
I modelli teorici generali dell'integrazione sono essenzialmente tre. L'assimilazione comporta una conformità al modello culturale dominante e chiede quindi all'immigrato un riadattamento alle norme e ai costumi della società d'accoglienza e un abbandono dei propri riferimenti. Il modello pluralista prende atto dell'esistenza di più culture e sviluppa di conseguenza atteggiamenti di tolleranza delle differenze culturali e processi graduali di inclusione, senza tuttavia chiedere agli immigrati di abbandonare le proprie "radici culturali", a patto che esse non interferiscano con i valori comuni. Il terzo modello, quello dello scambio interculturale, considera importante, non solo la tolleranza delle differenze, bensì la stessa messa in gioco reciproca, attraverso lo scambio fra culture e soggetti che arricchisce e modifica le rispettive culture d'origine.
Le indicazioni contenute nella normativa italiana che si richiamano a principi e linee contenuti in direttive e leggi sovranazionali e europee tracciano un modello educativo che possiamo definire integrativo, interculturale, attento alla tutela e valorizzazione delle lingue e culture d'origine. Gli alunni stranieri hanno diritto ad essere accolti e inseriti nella scuola di tutti; essi vengono iscritti alla classe corrispondente all'età anagrafica, salvo che il collegio dei docenti deliberi l'assegnazione ad una classe diversa, tenendo conto del sistema scolastico del paese di provenienza, delle competenze, abilità e livelli di preparazione dell'alunno, del momento dell'arrivo. Dispositivi di accoglienza (commissione e protocollo per l'accoglienza, utilizzo di materiali e di questionari bilingue, presenza di mediatori linguistici, schede informative sui paesi di origine e sui sistemi scolastici e linguistici di provenienza...) e percorsi specifici di acquisizione dell'italiano devono essere realizzati al fine di facilitare nel modo più rapido ed efficace l'accesso agli apprendimenti comuni. Si sperimentano materiali, proposte didattiche e modelli organizzativi per sviluppare la nuova lingua, sia per comunicare a scuola e fuori dalla scuola, con i pari e con gli adulti; sia per studiare e apprendere le diverse discipline. L'accoglienza e l'integrazione sono inoltre compito di tutti i docenti, i quali sono attenti agli aspetti didattici, ma anche al clima relazionale della classe, alle interazioni e agli scambi, ai possibili malintesi e conflitti tra bambini e ragazzi e tra scuola e famiglia. Il rifiuto della separazione non significa quindi ignorare le diversità e le identità presenti nella scuola, né condurre azioni tese all'assimilazione e al rifiuto delle origini. Al contrario, la scuola costituisce il luogo in cui si realizzano azioni di educazione interculturale nella consapevolezza che i valori che danno senso alla vita non sono tutti nella nostra cultura, ma neppure tutti nella cultura degli altri, non tutti nel passato, ma neppure nel presente o nel futuro.
Categoria descrittiva della coesistenza di più culture parallele che operano, senza interferenze reciproche, su un comune territorio, in un determinato tempo storico. Tale concetto implica il rispetto formale delle diverse identità culturali e dei loro aspetti etnico-folkloristici ma di fatto la multiculturalità può generare l'isolamento, con il rischio di fissare l'individuo in una cultura di provenienza statica ed emarginante.
Sullo sfondo dei due prefissi si delineano diverse impostazioni antropologiche, diverse visioni della società e paradigmi educativi ben distinti. La multiculturalità riconosce la compresenza di culture diverse e postula la creazione di un contesto socio-politico nel quale gli individui possano sviluppare identità disponibili all’interazione culturale; la multiculturalità è movimento di reciprocità, di scambio, di interazione, di superamento della trasmissione unidirezionale del sapere, di accoglienza della memoria storica dell’altro e delle sue attese rispetto al futuro.
Non esiste multiculturalità senza pluralismo.
Fenomeno spontaneo e storicamente consolidato che vede la compresenza di razze diverse sullo stesso territorio, in un determinato periodo di tempo. Oggi il fenomeno presenta accelerazioni che impongono l'elaborazione di progetti, programmi, risposte politiche ed educative.
Coesistenza di diverse lingue in una comunità o in un gruppo.
Approccio alla didattica delle lingue che considera come punto di riferimento la pluralità intrinseca delle varietà linguistiche e delle lingue; sul piano teorico è fondato sull'idea di non omogeneità e di apertura del sistema linguistico.
L'espressione musica etnica identifica tutti quei generi di musica che si collocano al di fuori degli schemi "standard" della pop music o della musica classica occidentali utilizzando qualche tipo di componente etnico, cioè esplicitamente riconducibile a una determinata etnia, popolazione o cultura. Nell'uso comune del termine c'è di solito un riferimento implicito alle tradizioni (e agli strumenti) musicali del terzo mondo, in particolare Africa e Sudamerica, ma anche Australia (musica aborigena), Medio Oriente e così via. Ci si può riferire sia alla musica popolare, sia alla musica tradizionale di tali paesi, sia alla pop music occidentale che presenta contaminazioni e influenze da tali tradizioni musicali (o viceversa).
Evidentemente, i vari tipi di musica che ricadono in questa categoria non hanno nessun particolare elemento comune unificante da un punto di vista musicale, rifacendosi per l'appunto a una varietà di tradizioni musicali indipendenti. L'espressione musica etnica viene usata principalmente con intenti legati alla pura classificazione (per esempio sugli scaffali dei negozi di dischi o delle biblioteche) o alla commercializzazione della musica.
Data l'evoluzione dei sistemi di trasporto e di comunicazione anche solo rispetto all'inizio del XX secolo, non stupisce che le tradizioni occidentali vengano in contatto con quelle di altre culture, con reciproca influenza; in questo senso, è verosimile che il confine fra quella che viene chiamata pop music e la musica etnica diventi via via più sfuggente. I critici di questa tendenza osservano che essa potrebbe portare, sul lungo periodo, ad una sostanziale "globalizzazione" della musica che coinciderebbe con un depauperamento delle tradizioni musicali dei popoli. Da questa preoccupazione nasce quindi, come contromisura, l'interesse per lo studio e la preservazione delle tradizioni musicali dei paesi del terzo mondo.
In linguistica, con il termine neologismo ci si intende riferire ad una parola di recente ideazione. Un neologismo può essere costituito dall'uso di una vecchia parola in un nuovo contesto cosicché abbia un nuovo significato. I neologismi sono molto usati per identificare nuove invenzioni e nuovi fenomeni.
I neologismi si presentano più di frequente in culture che stanno cambiando rapidamente, e in situazioni dove c'è una rapida diffusione dell'informazione. Spesso sono creati mediante la combinazione di parole già esistenti o aggiungendo nuovi suffissi e prefissi. Un neologismo può essere creato per abbreviazione o da un acronimo, sullo stampo di una parola esistente o semplicemente giocando con dei suoni.
Frequentemente i neologismi diventano popolari tramite i mass media, internet o per passaparola, specialmente presso i più giovani.
Il fatto che un neologismo sia adottato o meno dipende da molti fattori, tra cui l'accettazione da parte del pubblico, l'accettazione da parte dei linguisti e l'introduzione nei dizionari, così come il fatto che il fenomeno descritto dal neologismo rimanga in voga, mantenendo il bisogno di un termine che lo descriva. È tuttavia insolito che una parola entri nell'uso corrente se non ricorda altre parole esistenti in un modo identificabile, tranne che per casi rari di parole strane corrispondenti ad idee particolarmente memorabili. Una parola non più "nuova" non è più un neologismo, ma l'accettazione culturale è probabilmente un fattore molto più importante del tempo nel decidere quando questo avvenga.
Dopo essere stati coniati, i neologismi invariabilmente sono sottoposti allo scrutinio del pubblico e dei linguisti, per determinare la loro adeguatezza al linguaggio. Molti vengono accettati rapidamente, altri incontrano opposizione. Gli esperti di linguaggio muovono obiezioni ad un neologismo sulla base del fatto che un termine adatto per la cosa descritta già esiste in quella lingua.
I proponenti di un neologismo lo ritengono utile, e in grado di aiutare una lingua a crescere e cambiare; spesso percepiscono queste parole come un modo divertente e creativo di giocare con il linguaggio. Inoltre, la precisione semantica della maggior parte dei neologismi, assieme a quella che di solito è una sintassi semplice, li rendono spesso più facili da afferrare da parte di persone che non sono di lingua madre.
Il risultato di questi dibattiti, quando avvengono, ha molta influenza sull'eventuale accettazione del neologismo come parte del linguaggio. I linguisti possono talvolta ritardare l'accettazione, ad esempio rifiutandosi di includerli nei dizionari; ciò causa talvolta l'estinzione del neologismo col passare del tempo. Tuttavia se il pubblico continua ad usare il termine, questo alla fine si libera del suo status di neologismo ed entra nel linguaggio nonostante le obiezioni degli esperti.
Tipi di neologismi:
Scientifici - parole o frasi create per descrivere nuove scoperte scientifiche.
Tecnologici - parole o frasi create per descrivere invenzioni.
Politici - parole o frasi create per esprimere qualche concetto politico o retorico.
Popolari - parole o frasi che si sono evolute dal contenuto di mass media o usate per descrivere fenomeni di cultura popolare (possono essere considerate una sottosezione dello slang).
Importati - parole e frasi acquistate da lingue diverse e tipicamente usate per esprimere idee prive di un termine equivalente nella lingua madre (vedi anglismo, francesismo).
I marchi registrati sono frequentemente dei neologismi per poter essere distinti da altri marchi, ma possono entrare nella lingua qualora perdano la protezione legale.
Vengono definite dagli antropologi "norme" all’interno di una stessa cultura le regole che stabiliscono, in modo cosciente o meno, quale comportamento sia o non sia accettabile.
Tullio De Mauro conia l’espressione “nuove minoranze” nel 1974 per riferirsi alla presenza di consistenti gruppi di cittadini immigrati provenienti dai più diversi paesi e di parlata diversa da quella italiana. Anche se il fenomeno non è così appariscente come in altri paesi, è stato accertato che gli idiomi esogeni praticati nello spazio linguistico italiano, le cosiddette ‘lingue immigrate', sono almeno 122.
Non tutti i gruppi linguistici formati da immigrati sono soggetti potenziali di tutela: perché essi possano costituire una vera e propria minoranza devono maturare determinate condizioni che si possono sintetizzare nell'avvenuta formazione di una entità socialmente aggregata, riconoscibile per istituzioni e strutture di vita comunitaria, e soprattutto per la condivisione di un progetto migratorio di lunga durata e di una volontà di conservare lingua, cultura, religione e identità di origine.
Il vocabolo è usato come consolazione negativa del termine interculturazione. E' la passiva adesione o assoggettamento alle elaborazioni culturali della società in cui l'individuo è inserito per nascita o per scelta. Non è possibile un'assoluta omologazione stereotipale in quanto gli individui o le culture contribuiscono con il loro apporto (uso di facoltà di selezione, scelta e creatività) alla ridefinizione della propria identità, attraverso il processo di rielaborazione dei modelli culturali.
Una organizzazione non governativa (ONG) è una organizzazione che è indipendente dai governi e dalle loro politiche. Generalmente, anche se non sempre, si tratta di organizzazioni non aventi fini di lucro, che ottengono almeno una parte significante dei loro introiti da fonti private, per lo più donazioni. Nel mondo anglosassone vengono spesso identificate come PVO - Private Voluntary Organizations oppure NGO - Non Governmental Organization.
L' espressione organizzazione non governativa, è stata menzionata per la prima volta nell'ambito delle Nazioni Unite. Di fatto l'articolo 71 della Carta costituzionale dell'ONU prevede infatti la possibilità che il Consiglio Economico e Sociale possa consultare "organizzazioni non governative interessate alle questioni che rientrano nella sua competenza".
Le ONG esistono per una miriade di scopi, tipicamente per portare avanti le istanze politico-sociali dei propri membri, spesso trascurate dai governi. Alcuni esempi sono: il miglioramento dell'ambiente, l'incoraggiamento dell'osservazione dei diritti umani, l'incremento del benessere per le fasce di popolazione meno benestanti, o per rappresentare un'agenda corporativa, ma ci sono tantissime organizzazioni e i loro scopi coprono un'ampia gamma di posizioni politiche e filosofiche. Tipicamente fanno parte del movimento ecologista, pacifista, laburista o dei popoli indigeni, e non sono affiliate formalmente ad alcun partito politico o punto di vista che non siano i diritti umani o la pace o l'ecologia o la tolleranza.
È il documento che consente di soggiornare sul territorio di una nazione. Il permesso di soggiorno può avere una durata limitata o illimitata (carta di soggiorno); può essere rinnovabile o meno. La sua estensione dipende dal motivo per il quale è stato richiesto: studio, lavoro o turismo.
In Italia il permesso di soggiorno è concesso a chi sia in possesso di un visto d'ingresso valido, non costituisca un pericolo per l'ordine pubblico o la sicurezza sanitaria e possieda i mezzi per mantenersi durante il soggiorno. Interessante in particolare questo ultimo requisito: si chiede all'immigrato di avere un reddito individuale e di contribuire al benessere sociale.
Lingua che costituisce l’inizio di un avvicinamento alla lingua dominante (acrolecto).
I pidgin sono lingue fortemente semplificate nella struttura e nel vocabolario. Esempio per eccellenza di lingua pidgin è la mescolanza che si è venuta a creare nelle colonie inglesi tra la lingua ufficiale e le lingue pre-esistenti. I pidgin sono quelle piccole piattaforme comuni che consentono la comunicazione anche tra chi possiede due linguaggi differenti. Si parla di lingua creola quando il pidgin è la lingua madre di una certa comunità, più o meno ampia.
Nelle scienze sociali, il termine pluralismo si riferisce a una struttura di interazioni nella quale i diversi gruppi si mostrano rispetto e tolleranza reciproci, vivendo ed interagendo in maniera pacifica, senza conflitti e senza prevaricazioni e, soprattutto, senza che nessuno tenti di assimilare l’altro.
Il pluralismo è probabilmente una delle caratteristiche più importanti e più tipiche delle società moderne, e sarà sempre più un elemento propulsore del progresso scientifico ed economico.
Nelle società autoritarie od oligarchiche il potere politico è concentrato in poche mani e le decisioni vengono prese da un ristretto numero di persone. Al contrario, in una società pluralistica il potere e la facoltà di prendere decisioni assumendosi la responsabilità delle relative conseguenze sono distribuiti. Si ritiene che questo conduca ad una più ampia partecipazione all’impegno politico e sociale a favore di tutti, e che ciò possa dare risultati migliori di quelli delle forme politiche menzionate in precedenza. Alcuni esempi di gruppi umani basati sul pluralismo sono l’azienda e la comunità scientifica.
È possibile sostenere che la natura pluralistica del metodo scientifico sia uno dei principali elementi alla base della tanto rapida crescita della conoscenza in questo ambito. Si pensa, parallelamente, che il progredire della conoscenza porti automaticamente con sé un progresso umano, in termini di aumento della solidarietà, del benessere, della possibilità di curarsi.
Il pluralismo, infine, nega l’esistenza di una verità universale ed oggettiva, e pertanto viene spesso ritenuto un pericolo per certe verità, tipicamente ma non soltanto quelle religiose. È chiaro che, mentre il pluralismo tenta di armonizzare senza assimilazioni e senza negare le differenze posizioni diverse, quali ad esempio quella occidentale e quella islamica circa i diritti delle donna, l’irrigidimento fanatico su una delle due non può che portare ad un conflitto cosa che il pluralismo cerca appunto di evitare.
Quando in un repertorio linguistico convivono più lingue si hanno fenomeni diversi, a seconda che si guardi al repertorio delle comunità o dei singoli individui. Dal punto di vista sociolinguistico, le diverse varietà di lingua si collocano nel repertorio non paritariamente, tutte sullo stesso piano e intercambiabili, ma occupando ciascuna un settore, una posizione particolare, e con un raggio d’impiego e funzioni diversi. A seconda del tipo di rapporto che si instaura fra le lingue o le fondamentali varietà di lingua e della loro distribuzione negli usi, e negli atteggiamenti, della comunità, sono stati individuati alcuni tipi significativi di repertorio linguistico.
Bilinguismo comunitario, quando le lingue compresenti non sono in rapporto di gerarchia né hanno differenziazione funzionale (es. inglese e francese in Canada). Si può avere anche plurilinguismo o multilinguismo se si pensa alla distribuzione su circa 220 stati nel mondo di 5-6000 lingue. Dal punto di vista ufficiale nel mondo occidentale il plurilinguismo tende ad essere poco riconosciuto, come effetto dell'ideologia ottocentesca relativa all'unitarietà dello stato-nazione. In Africa e Asia il plurilinguismo è la regola assoluta. Si distingue dunque tra un plurilinguismodi diritto come ad esempio in India, Svizzera, etc., e un plurilinguismodi fattocome in Italia. Un’ulteriore distinzione è tra plurilinguismo endogeno: quando la compresenza di più lingue nella comunità è dovuta alla tradizione e plurilinguismo esogeno: quando la compresenza di più lingue nella comunità è dovuta a contatti e immigrazioni.
Per prestazione si intende il comportamento concreto che dimostra che un individuo possiede una determinata competenza. In termini di didattica della lingua, ad esempio, la produzione di un enunciato adeguato ad una situazione comunicativa è una prestazione che dimostra che lo studente possiede, ad un livello dato, la competenza linguistico-comunicativa.
Il prestigio è la valutazione sociale positiva che i parlanti danno di una lingua. Si tratta di una proprietà non oggettiva, bensì di una proprietà che dipende dalla valutazione di certi tratti, personali o sociali, che i membri di una comunità ritengono particolarmente favorevoli e desiderabili. Il contrario del prestigio è lo stigma. Una lingua stigmatizzata è un codice caratterizzato da proprietà sfavorevoli, non accettate socialmente e quindi sottoposte a sanzione negativa da parte dei parlanti. Una lingua intesa come lingua standardè una varietà che ha subito un processo di standardizzazione e che si trova in un rapporto speciale con la società.
Si definisce prestito linguistico l'adozione di qualsiasi lemma straniero che entra a far parte dell'uso comune di una lingua. Si tratta quindi di un particolare tipo di neologismo.
Talvolta il prestito ha la funzione di colmare una lacuna lessicale presente nella lingua che accoglie il termine, oppure è determinato dalla supremazia di una lingua in un determinato settore. Un esempio di quanto appena affermato è il linguaggio informatico inglese, da cui l'italiano ha attinto molti vocaboli quali ad esempio scanner, modem, mouse, webcam, talvolta senza che la lingua di adozione conii un nuovo lemma per sostituire il prestito.
La psico-linguistica studia il sistema mentale cognitivo che rende possibile l´uso della lingua. Per questo i procedimenti che si sviluppano durante l´uso della lingua sono il punto focale di tale disciplina. Gli interessi principali che definiscono il procedimento dell´ "uso linguistico primario" sono: la produzione linguistica o la capacità di formulare enunciati e la ricezione linguistica o la comprensione di una lingua e di conseguenza in questo campo si studia anche l´acquisizione linguistica, ossia come le persone apprendono le lingue.
La psicologia cognitiva è una branca della psicologia sperimentale che studia il comportamento e la vita mentale. Nasce come movimento detto cognitivismo che parte da un modello della mente umana come elaboratore di informazioni giungenti dagli organi sensoriali. Il fine della psicologia cognitiva è quello di coniugare lo studio del comportamento e delle capacità cognitive umane con la riproduzione di questi mediante sistemi artificiali.
Per ottenere questo risultato, la psicologia cognitiva è fortemente interdisciplinare poiché si avvale dei metodi, degli apparati teorici e dei dati empirici di numerose discipline diverse tra le quali la psicologia, la linguistica, le neuroscienze, scienze sociali e della comunicazione, biologia, intelligenza artificiale e informatica, matematica, filosofia e fisica.
La psicologia cognitiva nasce verso la fine degli anni '50, principalmente come reazione polemica nei confronti della scuola che da anni, soprattutto in America, dominava il panorama culturale: il comportamentismo. Quest'ultimo, in realtà, fu il vero e proprio punto di partenza per lo sviluppo delle scienze cognitive, in quanto gettò le basi per una psicologia fondata empiricamente. Entrambe le discipline, infatti, si basano su una scientificità di tipo naturalistico, nel comune tentativo di assimilare lo studio della mente umana alle scienze fisiche.
Dal punto di vista dell'epistemologia, la psicologia cognitiva assume la posizione ontologica del realismo critico, secondo la quale viene accettata l'esistenza di una realtà esterna strutturata, ma allo stesso tempo viene rifiutata la possibilità di conoscerla completamente. È proprio da questa premessa teorica che si genera la diatriba con il movimento comportamentista: l'oggetto di studio non è più (soltanto) il comportamento umano, bensì gli stati o processi mentali, fino ad allora considerati una black box insondabile e non conoscibile scientificamente. Tale presa di posizione nei confronti dello studio dell'attività psichica si traduce concretamente nell'accettazione dell'analisi introspettiva come metodo conoscitivo, e nell'affermarsi della concezione di comportamento umano come risultato di un processo articolato e variamente strutturato di elaborazione delle informazioni. In questo senso, il cognitivismo fa proprie le scoperte derivate dalla cibernetica e dagli studi sull'intelligenza artificiale, al fine di comprendere gli algoritmi che sostanziano l'attività mentale.
Il concetto di psicologia culturale è apparso abbastanza recentemente nell'ambito delle teorie psicologiche ed è soggetto a diverse interpretazioni. Due correnti principali sono comunque riconoscibili: la prima, di origine soprattutto americana, designa con questo termine lo studio delle differenze culturali nel comportamento psicologico (in questa accezione si preferisce però il termine "psicologia inter-culturale"); la seconda, prevalentemente di matrice europea, intende per "psicologia culturale" lo studio del rapporto di natura psicologica (quindi sia affettivo che cognitivo) che l'individuo elabora ed intrattiene con la propria cultura.
Una rete sociale (spesso si usa il termine inglese social network) consiste di un qualsiasi gruppo di persone connesse tra loro da diversi legami sociali, che vanno dalla conoscenza casuale ai vincoli familiari. Le social network sono spesso usate come base di studi inter-culturali in sociologia e in antropologia. Esiste anche l'"analisi delle reti sociali", ovvero la mappatura e la misurazione delle reti sociali. Le reti sociali sono studiate con un formalismo matematico usando la teoria dei grafi. Più precisamente, il corpus teorico ed i modelli usati per lo studio delle reti sociali, sono compresi nella cosiddetta Social Network Analysis.
La regola dei 150 dice che le dimensioni di una vera rete sociale sono limitate a circa 150 membri. Questo numero è stato calcolato da studi di sociologia e sopratutto di antropologia, sulla dimensione massima di un villaggio (in termini più attuali meglio definibile come un ecovillaggio). Viene teorizzato nella psicologia evoluzionista che il numero potrebbe essere una specie di limite superiore all'abilità media degli esseri umani di riconoscere dei membri e tenere traccia degli avvenimenti emotivi di tutti i membri di un gruppo. In alternativa potrebbe essere dovuto a una questione economica, e al bisogno di individuare gli "scrocconi", in quanto gruppi più grandi tendono a facilitare il prosperare di ingannatori e bugiardi. Ad ogni modo, sembrerebbe che il capitale socialevenga massimizzato a queste dimensioni.
Joi Ito suggerisce che il concetto di rete sociale sia cruciale per quella che egli chiama "democrazia emergente" — il collegamento vitale tra la rete creativa di al più una dozzina di persone, le reti di potere create da religione, lingua, tribù e legami di parentela, e le tradizioni etiche ad esse associate. Queste sono da lui viste come l'unico percorso verso una cosiddetta seconda superpotenza.
L’insieme delle lingue parlate nell’ambito di una comunità viene invece denominato repertorio linguistico. Il concetto di repertorio (introdotto e teorizzato in particolare da Gumperz), presuppone innanzitutto la delimitazione di una comunità linguistica. Anche le comunità che a prima vista possono apparire monolingui presentano in realtà una strutturazione di tipo più complesso. Se pensiamo che attualmente nel mondo esistono circa 220 nazioni, mentre le lingue parlate sono più di 5000, risulta evidente che l’esistenza di comunità monolingui rappresenta un’eccezione. D’altra parte, questo stesso dato dimostra che la nozione di comunità linguistica non può essere assimilata a quella di nazione, ma che si tratta in effetti di un concetto molto più sottile, che merita di essere considerato con estrema attenzione.
Il concetto di repertorio non deve essere inteso come la semplice somma delle lingue o delle varietà di lingua presenti all’interno di una certa comunità, ma comprende anche i rapporti gerarchiciesistenti tra queste varietà e le norme di impiego che regolano il comportamento e gli atteggiamenti linguistici dei parlanti. Nell’ambito di ogni comunità i codici tendono ad organizzarsi secondo una gerarchia ed a suddividersi lo spazio funzionale dei domini d’uso (diverse classi di situazioni del vivere sociale, come la famiglia, il lavoro, il quartiere, la scuola, ecc.).
La risposta fisica totale (TPR in inglese Total Physical Response) è un metodo sviluppato da James Asher, professore di psicologia alla San José State University, in California, per aiutare nell'apprendimento delle lingue straniere. Il metodo si basa sull'assunto per cui quando si impara una seconda lingua o un'ulteriore lingua, quella lingua viene interiorizzata tramite un processo di codebreaking ("decodifica") simile allo sviluppo della prima lingua e per cui questo processo permette di ascoltare e sviluppare la comprensione ancor prima di produrre. Gli studenti rispondono ai comandi che richiedono il movimento fisico. Il è uno strumento principale per un insegnante tipicamente behaviorista. Il metodo è stato reso popolare da Blaine Ray, un insegnante di spagnolo che ha osservato come movimenti interattivi e storie abbiano aiutato i suoi studenti nell'apprendimento. Da allora è stato creato un metodo, definito Teaching Proficiency through Reading and Storytelling (capacità di insegnamento tramite la lettura e la narrazione di storie) - (TPRS), che aggiunge ai metodi Asher storie divertenti.
Rappresentazione mentale degli eventi e sequenze di azioni prevedibili in una situazione tipica. Per esempio, data la situazione "ristorante", è prevedibile che entrino dei clienti, scelgano un tavolo, si avvicini un cameriere con un menù ecc.
Sindrome da disadattamento, crisi del sentimento di identità che consegue un'esperienza critica e traumatizzante come l'emigrazione. Nella percezione del soggetto, passato e presente e culture diverse si intrecciano e si contrappongono in un conflitto interno tra desiderio di distinguersi e di confondersi. Questo conflitto, se non viene adeguatamente gestito, può provocare stati di ansia e angoscia esistenziale che si esprimono in un profondo disadattamento nei confronti dei valori della nuova società.
Le caratteristiche di questa esperienza destabilizzante riguardano, fra l'altro, la perdita della prospettiva temporale con la conseguente alterazione della dinamica del trascorrere del tempo, la tendenza a vivere il passato anziché il futuro, oppure ad appiattirsi sul presente, negandosi aspettative, progettualità e prospettive.
Social Network Analysis / Analisi delle Reti sociali
La social network analysis (SNA), ovvero analisi delle reti sociali (a volte detta anche network theory, teoria della rete), è un ramo della network analysis. Si tratta di una recente metodologia di analisi delle relazioni sociali sviluppatasi a partire dai contributi di Jacob Levy Moreno, il fondatore della sociometria, scienza che analizza le relazioni interpersonali.
La SNA trova ora applicazione in diverse scienze sociali, come la sociologia, l'antropologia, la psicologia e l'economia, ed è stata utilmente impiegata nello studio di diversi fenomeni, come il commercio internazionale, la diffusione dell'informazione e lo studio delle istituzioni.
Nella teoria delle reti sociali (social network theory) la società è vista e studiata come rete di relazioni, più o meno estese e strutturate. Il presupposto fondante è che ogni individuo (o attore) si relaziona con gli altri e questa sua interazione plasma e modifica il comportamento di entrambi. Lo scopo principale dell'analisi di network è appunto quello di individuare e analizzare tali legami (ties) tra gli individui (nodes).
Nel suo sviluppo la SNA ha fatto ampio uso di temi, concetti e strumenti di una branca della matematica nota come teoria dei grafi. Il suo sviluppo in parte autonomo ha tuttavia portato a volte all'utilizzo di una terminologia indipendente. Così, capita spesso che, leggendo manuali di network analysis, ci si riferisca a concetti propri della teoria dei grafi con termini diversi. Laddove possibile, sarebbe comunque buona norma riunificare la terminologia, e sforzi in tal senso cominciano ad essere fatti. La SNA fa anche ampio uso dell'algebra lineare e della statistica.
Società nella quale la convivenza di più culture ed etnie è vissuta come ricchezza e possibilità di creatività. In una società multiculturale non vi sono disomogeneità tra maggioranza e minoranze: tutte le espressioni dovrebbero essere rispettate, anche quando si confrontano dialetticamente. La traduzione politica del multiculturalismo dovrebbe essere una parità di accesso alle leve del potere politico ed economico e agli strumenti della produzione culturale. Il problema di una società multiculturale è come conciliare i diritti all'uguaglianza dei cittadini e la differenza tra le culture. Questa difficoltà emerge quando nell'ambito degli stati laici dell'Occidente si formano forti comunità musulmane, che condividono invece una cultura tendenzialmente teocratica.
L'espressione ha un valore semplicemente descrittivo: dice semplicemente che in una società vivono comunità appartenenti a gruppi etnici diversi che interagiscono tra loro dando alla loro diversità una certa importanza. Non dice come questi convivono e come i gruppi minoritari sono valutati dalla maggioranza. Anche una società in cui vige l'apartheid può essere multietnica, anche se non rappresenta certo un esempio di società multiculturale.
La condizione multietnica non nasce in Europa con i recenti processi di immigrazione: da diversi millenni questo continente è interessato da movimenti migratori che hanno mescolato assieme popoli e culture.
La sociolinguistica è un ramo della linguistica che studia la variazione linguistica secondo più livelli:
la variazione diatopica (a seconda dello spazio geografico in cui viene parlata una lingua);
la variazione diastratica (a seconda dei gruppi e delle classi sociali di appartenenza);
la variazione diafasica (dipendente dal contesto in cui avviene la comunicazione, l'argomento e i rapporti tra gli interlocutori);
la variazione diamesica (a seconda del mezzo attraverso il quale si comunica).
Per la sua attenzione alla "diversificazione" cui viene esposto qualsiasi sistema linguistico, per la sua predilezione dunque per le "differenze" tra i parlanti, la sociolinguistica si contrappone alla linguistica teorica il cui obiettivo principale è al contrario svelare le strutture universali del linguaggio umano.
La sociologia delle migrazioni, come disciplina specifica, si sta delineando da pochi anni. Alcuni autori italiani che hanno sviluppato tematiche interessanti ed elaborato alcune delle teorie classiche sulle migrazioni sono, ad esempio, G. Scidà, G. Pollini, M. Ambrosini, Zanfrini, M. Cocco.
La sociologia ha affrontato i fenomeni migratori partendo da diversi approcci, distinguendoli in macro (che studia le cause sovrastrutturali delle migrazioni), il micro (che studia le motivazioni più personali ed individuali dei migranti) ed infine, ma non per importanza, il meso-relazionale (nel quale si prende spunto dalle teorie dei network - ossia delle reti - ed in cui si è andata sviluppando una serie di teorie sulle risorse dei migranti e delle strategie operate dagli stessi per creare ed utilizzare il capitale sociale attraverso rapporti di tipo relazionale sia con gli autoctoni, sia con gli immigrati ( del paese d'origine e del paese di provenienza).
Lo status identifica la posizione di un individuo nei confronti di altri soggetti nell'ambito di una comunità organizzata. Le norme sociali di attribuzione dello status dipendono dal gruppo sociale e possono essere molto variegate: possesso di beni materiali (auto, vestiti, accessori, denaro, posizione lavorativa, conoscenze culturali, posizioni di potere, ecc... Queste disuguaglianze generano quella che viene chiamata la stratificazione sociale.
Lo status si differenzia dal potere in quanto quest'ultimo consiste nel costringere le persone a fare ciò che non vogliono; quando ad un individuo, invece, viene tributato un particolare rispetto si parla di attribuzione di prestigio o di status. Esso può essere ascritto (es.Sesso) o acquisito (es.Medico).
Lo status si colloca su una "dimensione orizzontale" della stratificazione sociale, quella delle "relazioni tra pari", mentre il potere è indicativo del posizionamento sulla "dimensione verticale".
Per stratificazione sociale si intende la divisione in gruppi generalmente non paritari che avviene all'interno di quasi la totalità delle società, ponendo l'accento sul sistema delle disuguaglianze strutturali di una società, nei suoi due principali aspetti: quello distributivo, riguardante l'ammontare delle ricompense materiali e simboliche ottenute dagli individui e dai gruppi di una società, e quello relazionale, che ha invece a che fare con i rapporti di potere esistenti fra di essi.
Secondo i sociologi in tutte le società vi sono disuguaglianze tra un individuo e un altro (universalità della stratificazione), mentre secondo gli antropologi possono esistere società egualitarie in cui tutti i gruppi sociali hanno più o meno lo stesso diritto ad accedere a determinati privilegi.
In sociologia e in antropologia una subcultura (o sottocultura) è un termine usato per riferirsi a un gruppo di persone o ad un determinato segmento sociale che si differenzia da una più larga cultura di cui fa parte per stili di vita, credenze e/o visione del mondo. Una subcultura può accomunare un insieme di persone con caratteristiche simili come per esempio l'età, l'etnia, la classe sociale o il credo religioso o politico. Ogni subcultura è espressione di particolari conoscenze, pratiche o preferenze (estetiche, religiose, politiche, sessuali, ecc.) e a volte è definita nell'ambito di una classe sociale, di una minoranza (linguistica, etnica, politica, religiosa) o di un'organizzazione. Le subculture sono spesso definite in contrapposizione ai valori delle culture più grandi in cui sono come immerse, sebbene su ciò non tutti i sociologi siano d'accordo.
I principali teorici delle subculture, come Dick Hebdige, hanno fatto notare come i membri di una subcultura a volte usino differenziarsi dal resto della società con uno stile di vita o un modo di vestire simbolici e alternativi a quelli dominanti. Spesso lo studio delle subculture consiste infatti nello studio dei simbolismi collegati a queste forme di espressione esteriore e nello studio di come queste vengano percepite dai membri della società dominante. Quando una subcultura è caratterizzata da una opposizione sistematica alla cultura dominante, spesso ci si riferisce ad essa come controcultura.
Le varie subculture si differenziano enormemente tra di loro: è infatti appropriato includere nelle subculture gruppi estremamente eterogenei tra di loro come i raver, gli skinhead, i sado-masochisti e talvolta anche le sette religiose.
Spesso è difficile identificare una subcultura a causa del fatto che il suo stile (in particolare il modo di vestire) è stato assorbito dalla cultura di massa per scopi commerciali. E' questo il caso, ad esempio, di alcuni movimenti giovanili come il Punk o l'Hip Hop, il cui modo di vestire è stato ormai ampiamente commercializzato e si è inserito con successo nella società.
La tolleranza è un termine sociologico, culturale e religioso relativo alla capacità collettiva ed individuale di vivere pacificamente con coloro che credono ed agiscono in maniera diversa dalla propria. I sistemi autoritari si fondano, al contrario, sull’intolleranza. La tolleranza è un termine più ampio di “accettazione” e di “rispetto”, che conservano una connotazione passiva (“rispetto l’altro purché non ci abbia niente a che fare”), mentre la tolleranza richiama esplicitamente l’esigenza di una vita in comune, dove l’incontro è inevitabile. Termine solitamente collegato alla pratica della nonviolenza, estende le sue implicazioni agli ambiti della religione, del sesso e della politica, e ben difficilmente conduce ad un comportamento violento.
La transcultura è una nuova sfera dello sviluppo culturale oltre i confini stabiliti dalle culture nazionali, razziali, professionali e di genere. La transcultura supera la chiusura delle loro tradizioni, delle determinazioni linguistiche e dei valori, spostando il campo della creazione "sovraculturale". La transcultura definisce se stessa in maniera contrastante, da una parte in relazione alle condizioni della cultura globale e del pluralismo culturale e, d'altra parte, in relazione al crescente specializzarsi delle diverse aree culturali." (Michail Epstejn). La transculturalità è un fenomeno di ricca e indistinta fusione di culture diverse.
Influenza che una lingua esercita su di un’altra. Utilizzo in una lingua B di un tratto caratteristico della lingua A. Nel campo della grammatica, le trasferenze risultano in costruzioni agrammaticali e in restrutturazioni del sistema.
Gli aspetti positivi del trasferimento come risultato dell’interferenza sono meno discussi. Generalmente il processo sarà più positivo quanto più vicine sono le due lingue, e quanto più lo studente comprende la relazione fra le due lingue. Così un italiano che impara lo spagnolo può ben ipotizzare un elemento lessicale tedesco dal suo equivalente inglese. Questo approccio ha lo svantaggio di rendere lo studente più soggetto all'influenza dei falsi amici.
Partendo dal presupposto che la lingua varia e che la variazione è un tratto inerente i sistemi linguistici, ci sono due modi per studiare questa variazione: uno è osservando come le regolarità nella variazione siano legate ad aspetti linguistici interni; e un altro è osservando come la presenza di una certa variante sia connessa a certi tipi di parlante.
Sistema di regole elaborato dall'apprendente la L2 in uno stadio del suo processo di apprendimento, che si configura globalmente come formazione di una interlingua progressivamente orientata verso le caratteristiche della L2.
Il welfare state conosciuto volgarmente come stato assistenziale, è un sistema di norme con il quale lo Stato cerca di eliminare le disuguaglianze sociali ed economiche fra i cittadini, aiutando in particolar modo i meno abbienti. Lo stato sociale quindi fornisce dei servizi e garantisce una serie di diritti, come la assistenza sanitaria, il sistema scolastico pubblico, l’indennità di disoccupazione, i sussidi alle famiglie, l’accesso alle risorse culturali (biblioteche, musei, tempo libero), l’assistenza d’invalidità e di vecchiaia, la difesa dell’ambiente.
Questi servizi rappresentano un enorme impiego di risorse finanziarie, le quali provengono in buona parte dal prelievo fiscale, che ha, nei Paesi democratici, un sistema di tassazione progressivo (l'aliquota impositiva cresce con il crescere del reddito). Un efficiente esempio di welfare state è la Svezia.